Claudio Novaro propone una lettura delle logiche securitarie che permeano la vita sociale e politica e una possibile risposta da parte dei Giuristi Democratici.
Le società contemporanee sono ossessionate dalla questione della sicurezza.
Nonostante si viva "perlomeno nei paesi sviluppati, nelle società più sicure mai conosciute" (Castel), nonostante i tassi di criminalità siano in lento costante ribasso, la questione della sicurezza urbana, anche in Italia, ha acquisito una sua riconosciuta centralità nell'agenda politica nazionale.
Si tratta di un tema, denso di conflitti materiali e simbolici, su cui si sono esercitate con successo imponenti campagne mediatiche e su cui la retorica nazionale della legalità contro la microcriminalità ha trovato terreno fertile.
Le logiche sicuritarie sono riuscite a tradurre il diffuso senso di insicurezza e precarietà presenti nella nostra come in tutte le società occidentali in domanda di repressione, trasformando la complessità dei fenomeni sociali in questione criminale.
Molti autori hanno già notato come il progressivo smantellamento del welfare state e dei tradizionali ammortizzatori sociali, l'impoverimento progressivo di strati non marginali della società, la precarizzazione dei diritti sociali, primo fra tutti di quello al lavoro, hanno fatto sì che la sicurezza divenisse uno dei terreni centrali su cui ricostruire la funzione stessa dello stato nazione di fronte ai processi di globalizzazione.
Vasta è ormai la letteratura sul tema, che ha prodotto numerose e ragionate analisi soprattutto in riferimento alla situazione statunitense e alle ricette lì adottate (la cd. tolleranza zero, la broken window teory, ecc..), dove, a partire dalla scoperta di un legame diretto tra degrado urbano e criminalità, si è imposto un modello di esclusione sociale che fa della “criminalizzazione della miseria” e del rilancio degli strumenti di repressione penale il suo asse portante.
Non è possibile compendiare in poche battute questioni così complesse e articolate. E', invece, possibile segnalare sin d'ora la loro trasversalità rispetto al panorama politico italiano e la loro rilevanza per chiunque, compresa un'associazione di giuristi, abbia ancora voglia di confrontarsi con le dinamiche sociali.
L'insicurezza non è un dato di fatto naturale, così come non lo sono la devianza e le politiche di controllo, ma un prodotto sociale. Investigare e comprendere le ragioni della sua centralità significa confrontarsi, anzitutto, con il problema della definizione dei comportamenti e delle relazioni sociali (ad esempio, con la dimensione a geometria variabile della cosiddetta devianza, che copre, nell'accezione che ne hanno i mezzi di comunicazione di massa e l'opinione pubblica, una vasta gamma di comportamenti tra loro non omologabili), significa ragionare sulle pesanti ricadute che tale tema ha sugli ordinamenti giuridici, sulla qualità della democrazia di questo paese, sulle forme della convivenza sociale.
Basti pensare, quanto a tali ultimi aspetti:
• al crescente ruolo degli apparati di sicurezza nella vita quotidiana (anche sul piano meramente simbolico o propagandistico, dalle fiction ai giornali);
• al progressivo rafforzamento ed ampliamento dei confini dell'esclusione sociale, al restringimento dei diritti di cittadinanza, con il ritorno in auge di politiche di criminalizzazione del disagio(senza fissa dimora, lavavetri, tossicodipendenti..);
• all'aumento degli episodi di razzismo quotidiano o di vera e propria persecuzione verso intere comunità o categorie di soggetti;
• alla comparsa di gruppi organizzati di cittadini con scopi di controllo del territorio e di polizia;
• al protagonismo delle amministrazioni locali e dei sindaci sul terreno della sicurezza urbana, attraverso provvedimenti amministrativi tutti incardinati sull'equiparazione tra marginalità, devianza e criminalità;
• all'impoverimento dei luoghi di partecipazione politica e di mediazione dei conflitti e, per contro, all'emergere quale soggetti politici di rilievo di veri e propri imprenditori della paura e del razzismo;
E, ancora, sul piano più propriamente ordinamentale:
• al diritto penale che assume sempre più marcate connotazioni soggettive,con il rilancio del diritto penale d'autore e l'individuazione di categorie generali di soggetti potenzialmente pericolosi
• all'emergere di un diritto speciale per i migranti e di nuovi luoghi di segregazione;
• al consolidarsi, sul piano del diritto processuale penale, di circuiti differenziati e a velocità diverse tra imputati a piede libero e detenuti o per tipo di reato (a seconda, ad esempio che si tratti di microcriminalità o delitti dei colletti bianchi);
• alla costituzione presso alcune Procure di pool sulla sicurezza urbana, con drenaggio e investimento di risorse, umane e non, sulla microcriminalità di strada;
• all'aumento dei tassi di incarcerazione e del numero complessivo dei detenuti;
• alle proposte di progressiva autonomia della polizia giudiziaria dai controlli e dalle direttive dell'autorità giudiziaria.
Se sul piano analitico, a fronte della diminuzione statistica dei reati commessi, occorre rifiutare quella tendenza interpretativa che pone in relazione le risposte sicuritarie all'aumento della criminalità da strada, ciò non toglie che la percezione collettiva di tali fenomeni sia di crescente allarme tra i cittadini e che con tale sentimenti, proprio perchè “socialmente” veri, occorra fare i conti.
E' un terreno su cui la destra appare largamente egemonica, nel quale il centro-sinistra, o quel che ne è rimasto, procede con parole d'ordine e soluzioni politiche politiche mutuate dall'avversario.
Sostenere che la sicurezza non è di destra né di sinistra è nel migliore dei casi una banalità: le ricette per contrastarla devono e possono essere diverse, quanto ad ispirazione e a modalità di attuazione. E' evidente, ad esempio, che tante più risorse collettive verranno riversate negli apparati di controllo e nel sistema correzionale tanto meno fondi saranno disponibili per la spesa sociale, in una spirale che si autoalimenta e che fa crescere il senso di insicurezza in modo esponenziale.
Le iniziative che vorremmo provare a mettere in campo muovono proprio dall'acquisita consapevolezza del baratro che separa la percezione soggettiva e la constatazione oggettiva del fenomeno.
La proposta è quella di dotarsi di strumenti analitici e di acquisire concreti elementi di riflessione al fine individuare un percorso di interventi pubblici da proporre a (e da condividere con) Magistratura Democratica, che si articoli su piani diversi (dalla comunicazione politica al dibattito scientifico) ma che abbia il suo fulcro nel confronto con l'opinione pubblica, in particolare con una presenza diretta nelle scuole superiori e nell'università.
Tutto ciò a partire dall'idea che solo ritessendo i fili di una cultura della tolleranza e dello stato di diritto sia possibile sul lungo periodo, in un paese sempre più rancoroso, intollerante, privo di ethos umanitario come il nostro, ottenere qualche risultato. Quantomeno, per non doversi vergognare in futuro di non aver neanche provato a convincere qualcuno, soprattutto i più giovani, che tutti saremmo più sicuri non in una società più autoritaria e spietata ma in un mondo, come è stato scritto a proposito dei flussi migratori, “che non abbia più bisogno cronico di vite vendute, importate da lontano, spremute e poi da incenerire o deportare come rifiuti umani”(D'Eramo).
Claudio Novaro.