Pubblichiamo la relazione tenuta il 20 ottobre 2006 da Tecla Faranda al convegno "Democrazia, diritti e giustizia al tempo dell'Unione".
GIUDICI,PM,AVVOCATI:
QUALI RIFORME DEGLI ORDINAMENTI
Che la giustizia - intesa come concezione e modo dell'amministrare la giustizia e non come complesso di norme da applicare - abbia bisogno di riforme è un problema vecchio, come è persino banale affermare che il pensare ad un modo nuovo e più efficiente di amministrare la giustizia deve partire dalle figure professionali che partecipano e che contribuiscono, a pari titolo, con pari dignità ed in pari misura, ad una buona amministrazione di un bene - il diritto alla giustizia - che possiamo considerare nella società attuale quasi un bene primario che condiziona indubitabilmente i beni più tradizionalmente considerati come primari : il diritto al lavoro, alla libertà,alla casa e tanti altri.
Senza nulla togliere a soggetti che partecipano concretamente, quotidianamente e da vicino al processo di amministrazione della giustizia - il personale amministrativo, ma anche i consulenti tecnici, tra gli altri - i protagonisti primari nel palcoscenico della giustizia sono giudici, intesi come magistratura giudicante, rappresentanti della pubblica accusa, avvocati.
Ma non dobbiamo dimenticare che, in un'evoluzione sempre più intensa e visibile dello scenario della giustizia, che si sforza di pensare che prima della decisione autoritaria del giudice si debba tentare a tutti i costi una condivisione del risultato tra le parti ed un componimento bonario del contrasto, a queste figure tradizionali si sono aggiunti mediatori, conciliatori, arbitri, magistrati onorari, tutti impegnati in una gestione alternativa e forse più moderna della giustizia.
L'importanza sempre crescente della mediazione e della conciliazione emerge da tutte le recenti riforme e anche la riforma del codice di procedura civile, che solo apparentemente lascia uno spazio residuale alla conciliazione in fase preliminare rispetto alle fallite esperienze della novella del 1995, si inserisce in una realtà che sempre più spesso e sempre più ampiamente - si pensi al nuovo rito societario, che si svolge in gran parte all'esterno dei palazzi di giustizia, al diritto del lavoro, alla mediazione nel diritto di famiglia, alle procedure di conciliazione e agli sportelli aziendali o nell' ambito delle camere di commercio (questa settimana è stata la settimana della conciliazione) -prevede fasi stragiudiziali precedenti tese ad evitare il ricorso alle procedure tradizionalmente giudiziarie.
Fasi preliminari che non debbono però risolversi in inutili "balzelli temporali" che ritardano soltanto il ricorso alla giustizia ordinaria - come ha dimostrato di essere in larga misura l'art. 410 in materia di lavoro - né in meccanismi che finiscono di fatto per pregiudicare i cittadini meno abbienti, come forse risulterà essere il cd "indennizzo indiretto" in materia di sinistri stradali di prossima entrata in vigore.
Nel processo penale - che per ovvie ragioni si presta meno alla funzione conciliativa - tuttavia il patteggiamento, la funzione stigmatizzata ed insistita del giudice di pace quale conciliatore, alcune prassi pre-giudiziarie tendono allo stesso scopo e fondamentalmente ad un effetto deflattivo sul sistema giudiziario in termini anche di costi e non soltanto di tempi.
Con la mediazione un'ulteriore linea di tendenza ormai consolidata è quella dell'importanza attribuita alla formazione e ancor di più alla formazione e non solo alla pur importantissima formazione dei giovani (che siano giovani avvocati o giovani giudici), ma anche della formazione permanente (che altro non è che una necessità sempre più sentita di aggiornamento professionale continuo) e di una formazione comune di tutte le categorie interessate, che sempre più spesso ed anche spontaneamente trovano occasioni di confronto e di crescita nella prospettazione di questioni comuni (L'osservatorio Della Giustizia Di Milano è nato in questa ottica e si è guadagnato un'autorevolezza a livello nazionale).
Il ricorso sempre più frequente alla magistratura onoraria, normalmente rappresentata da avvocati tendenzialmente dall'altra parte della barricata, come del resto il ricorso alla figura dell' avvocato nell' ambito delle procedure esecutive può essere vista, sotto un certo aspetto e nella sua visione migliore,come una forma di collaborazione e di utilizzo di competenze diverse che interagiscono ai fini di una migliore efficienza del sistema.
Ma certamente le riforme della giustizia, sotto il profilo delle figure professionali, non possono prescindere da un'attenzione maggiore alla garanzia dell'imparzialità e della terzietà del giudice: questione che coinvolge in primo luogo la questione della separazione delle carriere tra magistratura giudicante e magistratura inquirente, ma anche le incompatibilità dei magistrati onorari e della futura o futuribile "magistratura di complemento", e - non certo come ultimo argomento - le questioni disciplinari connesse e riferibili, in modo forse non così diverso, a tutte le figure professionali.
Problemi assai più controversi di quelli di cui si è parlato e in cui le linee di tendenza sono state spesso contraddittorie, incomplete, legate a fattori e a interessi politici contingenti e ben lontani da una prospettiva di migliore e necessaria garanzia del giudice come terzo.
Se poi pensiamo al sempre crescente ricorso alla mediazione ed alla conciliazione a questa esigenza di garanzia deve accompagnarsi, con un'analoga e non contraddittoria esigenza di equilibrio e di terzi età, la tutela della parte debole: il consumatore, il lavoratore (e soprattutto quello precario), il malato, l'immigrato.
Pensando a questi aspetti, che devono essere le necessarie linee di tendenza di una riforma del sistema - che non è l'unica tra quelle individuate nel programma per la giustizia dell'Unione, ma che riveste sicuramente al suo interno un'importanza di primo piano - che parta dall' attenzione alle figure professionali coinvolte, non si può non pensare alla cd RIFORMA BERSANI con riguardo alla figura dell'avvocato .
Riforma che non va vista come un attacco alle categorie professionali e ad inesistenti privilegi di categoria, ma certamente come una visione incompiuta di una figura professionale, quella dell'avvocato, che non è certo soltanto un giardiniere che si occupa solo del suo giardinetto, ma che non può non essere vista, nell'attuale sistema, anche come un protagonista di primo piano e quasi la garanzia stessa, per come è regolamentata e salvi sempre possibili ed auspicabili miglioramenti, di qualità, equità e tutela della parte debole nel processo.
Attualmente gli Ordini, la necessaria abilitazione professionale, il sistema tariffario obbligatorio, la potestà disciplinare sono ben lungi dall'essere privilegi corporativi, ma sono nati come e costituiscono al contrario garanzie per il cittadino consumatore.
Non dimentichiamo che l'abolizione dei minimi tariffari incide o può incidere sull' entità delle somme liquidate alle parti, fermo restando che ben altra cosa è la questione della determinazione del compenso nei confronti del cliente.
Non dimentichiamo che l'introduzione del patto di quota lite, più che incidere sulla concorrenzialità tra professionisti, rappresenta o può rappresentare un rischio per il cittadino consumatore, che potrebbe impegnarsi a pagare in modo esagerato una prestazione altrimenti remunerabile in modo assai più modesto.
Tanto che il Consiglio Nazionale Forense sta studiando regole deontologiche che limitino il ricorso a questo strumento, non in sé scandaloso - anche se forse almeno in parte in contrasto con una professione che tradizionalmente prevede obbligazioni di mezzi e non di risultato - , ad ipotesi marginali e prevedano una corretta informativa al cliente.
Non ci nascondiamo che la liberalizzazione delle professioni è in una certa misura ineluttabile e discende dalla normativa comunitaria, ma il sistema del tutto incompleto, inconsistente, povero di una visione globale e indifferente in concreto ai diritti del "consumatore di giustizia", anch'esso spesso parte debole del sistema, non è accettabile e non fornisce alcun contributo di miglioramento del sistema.
La liberalizzazione - forse lo spirito liberista della riforma - si deve conciliare con valori di solidarietà sociale e con i principi generali del sistema, che nulla hanno a che fare con istanze corporative solo apparenti, ma che discendono dalla Costituzione stessa e devono essere garantiti proprio per non creare due sistemi di giustizia, uno di serie A per i cittadini abbienti ed uno di serie B per chi abbiente non è; due sistemi di cui da tempo si parla e che le riforme di un governo democratico però dovrebbero abbattere anziché favorire.
Occorre ripensare, sotto il profilo di cui stiamo parlando, ad un nuovo sistema giustizia che concretamente e coerentemente si ispiri ad un'etica più severa, ad una migliore professionalità, ad una più intensa collaborazione tra le diverse figure professionali, ad una più efficace garanzia di imparzialità ed uguaglianza del cittadino.
Ma questo ripensamento deve essere serio, globale e concreto, anche nelle risorse che vanno coraggiosamente dedicate alla sua realizzazione di servizio pubblico primario, perché, al di là di ogni petizione di principio, ogni cittadino è uguale davanti alla legge soltanto se i tempi, i costi, la qualità del servizio, il rapporto con l'istituzione sono uguali per tutti, indipendentemente da quanto il singolo possa o sia disposto a spendere per far valere i suoi diritti.