Documento conclusivo del convegno tenutosi a Napoli il 7 dicembre 2001.
Un attacco senza precedenti all'indipendenza e all'autonomia della Magistratura è in corso.
L'attuale maggioranza di governo, nelle sue espressioni più rappresentative, dal presidente del Consiglio, al ministro di Giustizia, dopo le sortite da "sfondamento" dell'ex - sottosegretario agli Interni, ha posto all'ordine del giorno la cd. Riforma del sistema Giustizia.
Le linee guida di questa radicale revisione del sistema giudiziario suscitano inquietudine e timori, e rivelano un disegno estremamente pericoloso che rischia di mettere in crisi lo stesso carattere di controllo di legittimità, imparziale ed uguale per tutti, della giurisdizione, innanzitutto di quella penale.
Non a caso uno degli elementi caratterizzanti della riforma è costituito dall'abolizione di fatto dell'obbligatorietà dell'azione penale, a favore di una discrezionalità sottoposta al volere e al controllo del potere politico.
E' oggi quanto mai importante ricordare, a tutti alcune semplici verità:
1. l'obbligatorietà dell'azione penale, prevista dall'art. 112 della nostra Carta Costituzionale, è stata una grande conquista democratica. E' un principio nato come corollario del generale principio di eguaglianza di fronte alla legge (art. 3 della Costituzione) ed ha imposto all'organo titolare di un così grande potere, l'ordine giudiziario appunto, l'imparzialità verso tutti i cittadini;
2. l'obbligatorietà dell'azione penale, come espressione del principio di eguaglianza, presuppone un ordine giudiziario autonomo dal potere politico e indipendente, e perciò in grado di esercitare il controllo di legittimità nei confronti di tutti senza altro condizionamento che la legge e altri parametri che quelli previsti dalle norme da applicare;
3. lo stesso sistema democratico, così come si è sviluppato negli ultimi due secoli, ha fondato sulla tripartizione dei poteri e sull'indipendenza della magistratura la sua stessa esistenza, e né si può immaginare una democrazia nella quale il potere politico interferisca, in qualunque modo, nella giurisdizione, per esempio limitando o condizionando l'esercizio dell'azione penale.
Nella proposta delineata in questi giorni, viene introdotto un elemento di discrezionalità nell'esercizio dell'azione penale attraverso l'individuazione di priorità, ovvero, per essere chiari, l'individuazione dei reati effettivamente da perseguire, operata dal parlamento, e quindi, di fatto dalla maggioranza parlamentare.
In sostanza, attraverso un deliberato parlamentare, si indicherebbero ai titolari dell'azione penale quali condotte perseguire, in via prioritaria, ovviamente, e quali no, il che significa che il potere politico potrà condizionare il sistema della giustizia penale, fino al punto di determinare un'impunità di fatto per condotte che pure sono penalmente sanzionate.
Comunque lo si voglia presentare, questo è il sistema di discrezionalità dell'azione penale, con in più l'aggravante che tale discrezionalità viene accompagnata da un pesante condizionamento all'autonomia dell'ordine giudiziario, che subirebbe il sostanziale diktat del potere politico circa i reati da perseguire e quelli da trascurare.
Questo orizzonte è inaccettabile: la discrezionalità nell'esercizio dell'azione penale comunque introdotta e formulata, rappresenterebbe un sostanziale arretramento del principio di eguaglianza e un grave rischio per la stessa democrazia in questo paese.
E' perciò necessario rifiutare qualsiasi cedimento sul principio dell'obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale, anche rispetto a quanti pur accetterebbero di discutere il principio, se mai la discrezionalità facesse capo, per esempio, agli stessi giudici piuttosto che al potere politico. Non può certo tranquillizzare chi teme per la democrazia il sapere che la discrezionalità è nelle mani dei capi Procura, invece che dei capi gruppi parlamentari.
Va denunciato con forza un tentativo, insidioso quanto fuorviante, di intrecciare il tema della discrezionalità dell'azione penale con quello relativo alle note carenze e deficienze del nostro sistema giudiziario che, talvolta, hanno come triste conseguenza quella di rendere virtuale il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale.
Nessuno vuole e può nascondere quanto di inaccettabile vi è nell'amministrazione delle giustizia, in primis in quella penale. Lunghezza esasperante dei processi, carenza cronica dei mezzi, uomini e risorse, eccessiva estensione della giurisdizione penale, anche ad ambiti di scarsa offensività sociale, insufficiente garanzia di effettiva difesa dei ceti meno abbienti, scarsa attenzione alle vittime del reato, e quant'altro ancora, non escluso, talvolta, nel presente come nel passato, una certa inclinazione di taluni settori della magistratura a farsi strumento di difesa di interessi forti e dominanti.
E' a questi problemi che bisogna dare una risposta, ripensando, ad esempio, ad una seria ed efficace depenalizzazione di quanto non merita più, per coscienza comune e per effettive esigenze sociali, la tutela penale, oppure rafforzando il ruolo della magistratura onoraria, o ancora adeguando le risorse all'effettiva domanda di giustizia, e ciò col dichiarato fine di rendere ancor più effettivo ed operante il principio di obbligatorietà dell'azione penale, non certo di affossarlo.
Questo ambito, tuttavia, è ben altra cosa che quello che si vuole imporre con la prospettata riforma, il cui fine non appare essere, e probabilmente non è, quello di una maggior efficienza della giustizia ed una più effettiva tutela della collettività e dei singoli, degli imputati in primo luogo.
La prospettata riforma, che vede la discrezionalità dell'azione penale accompagnarsi alla massiccia degiurisdizionalizzazione del processo civile, ossia all'affidamento ad arbitri privati delle controversie, soprattutto quelle in materia di lavoro, alla modifica del codice penale sostanziale, alla separazione delle carriere tra i giudici e inquirenti, alla sottrazione della polizia giudiziaria dal controllo del Pubblico Ministero, e ad altre misure tutte nel segno di un generale ridimensionamento della giurisdizione, disegna un futuro di minori garanzie per tutti i cittadini, di riduzione notevole de controllo autonomo ed indipendente di legittimità, ed in una parola, di minore libertà per l'intera società e di maggiore autoritarismo di un potere insofferente ad ogni controllo.
Il Coordinamento Nazionale Giuristi Democratici rivolge a tutti gli operatori della giustizia, a tutte le forze sociali, politiche, culturali democratiche, a tutti quelli che, organizzati e no, si oppongono a svolte politiche - istituzionali di segno autoritario e illiberale, un appello a contrastare con fermezza ogni tentativo di introdurre nel nostro ordinamento il principio della discrezionalità dell'azione penale, così come ad ogni tentativo di limitare l'autonomia e l'indipendenza della funzione giurisdizionale: in gioco non è solo il sistema giudiziario che avrà questo paese, la posta è molto più alta e riguarda tutti, ed è il modello di società nella quale vivremo e quali istituzioni avremo in futuro che ormai si fa sempre più vicino.
Napoli, 07.12.2001
Il Coordinamento Nazionale Giuristi Democratici