Nel gennaio 2005 i portavoce dei GD hanno proposto alle forze politiche di sinistra alcuni spunti di riflessione in tema di giustizia.
Il proposito è quello di delineare i criteri generali di un programma condiviso, che sia diretto ad assicurare ai cittadini il rispetto di alcuni punti irrinunciabili, di immediata enunciazione.
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SPUNTI DI ULTERIORE RIFLESSIONE SU UN PROGETTO UNITARIO DELLA SINISTRA IN TEMA DI GIUSTIZIA
Un programma che affronti il tema della riforma della giustizia si deve muovere con ampio respiro e deve avere riferimento a tutti i settori che la compongono, sia sotto il profilo sostanziale, che sotto quello processuale; d'altronde, la questione-giustizia è divenuta centrale per chi voglia difendere lo stato di diritto attraverso le sue regole: dunque, non si tratta solo di studiare forme nuove e/o modifiche all'attuale sistema per consentirne un miglior funzionamento, ma anche di contribuire a blindare l'attuale assetto istituzionale, sotto il profilo della divisione dei poteri dello Stato, oggi fortemente messa in discussione dal Centro-destra.
I fondamenti della nostra azione devono essere la pervicace difesa dei principi costituzionali oggi messi in discussione (con particolare riferimento agli artt. 3-10-11-24-25-101 e segg. Cost.), ed il tentativo di ampliare la tutela dei diritti dei cittadini, italiani, europei o extracomunitari che siano: la tutela e la promozione del principio di uguaglianza e di solidarietà sociale e, conseguentemente, la tutela dei diritti degli emarginati e di chi soffra situazioni di emarginazione, di compressione e/o di negazione dei suoi diritti devono essere al centro di un progetto ampio ed unitario della sinistra, insieme con lo studio di forme di miglior funzionamento del sistema.
In altri termini, lo strumento progettuale si deve muovere nell'ottica di assicurare ai cittadini il rispetto di alcuni punti irrinunciabili, di immediata enunciazione, ed il cui contenuto concreto dovrà essere oggetto di approfondito esame, in un'ottica complessiva di soddisfacimento delle loro aspettative.
Allo stato attuale, si possono già formulare criteri generali e, in alcuni settori almeno, anche proposte operative concrete.
Che cosa richiede il cittadino allo Stato in materia di giustizia?
Un sistema che garantisca a tutti la stessa possibilità di far valere in giudizio i propri diritti, che adegui il campo dei diritti alle nuove esigenze della società, che consenta lo svolgimento e la conclusione dei processi in un tempo ragionevole, davanti ad un giudice competente, autonomo ed indipendente,
equidistante tra le parti, che assicuri la garanzia dei diritti di tutti, con un equo contemperamento tra i diritti dell'imputato e quelli della vittima (o delle parti nel processo civile).
Alla base di ogni discorso sulla riforma della giustizia deve, innanzitutto, stare la valutazione delle dimensioni della domanda di giustizia che avanzano i cittadini, onde, poi, adeguare strutture e mezzi da utilizzare per farvi fronte.
Oggi, la situazione è ingestibile: a fronte di una domanda di giustizia che cresce esponenzialmente, incontrollata, lo stanziamento nel bilancio dello Stato appare assolutamente incapiente, oltre che mal utilizzato.
Occorrerà partire da un'attenta disamina dei settori nei quali la richiesta della persona danneggiata potrebbe essere meglio soddisfatta con soluzioni diverse da quelle di una sentenza che, tra l'altro, sovente arriva tardivamente ed inutilmente; non necessariamente la vittima necessita di una soluzione giudiziale; sarebbe, in alcuni casi più utile un aiuto concreto da parte dello Stato (vedi il caso dei colpiti dall'usura), la creazione di un sistema sanzionatorio di tipo amministrativo che colpisca economicamente il danneggiante, l'istituzione di fondi di solidarietà (sull'esempio di quanto previsto in materia di assicurazione obbligatoria per le vittime della strada e di pagamento del TFR da parte dell'INPS, per le aziende inadempienti), la predisposizione e/o il rafforzamento di strutture di mediazione, purché non si trasformino in una sede di amministrazione di giustizia di serie B, volta a consentire, cioè, che i processi importanti si possano celebrare con tutte le necessarie (ed a volte, anche di più) garanzie.
Tutto ciò consentirebbe, insieme con un'oculata depenalizzazione dei reati meno rilevanti sotto il profilo dell'impatto sociale o di quelli ancora esistenti nell'ordinamento, ma che non rispondono più alle esigenze della collettività, nonché con una seria opera di sensibilizzazione e di informazione dei cittadini sulle nuove istituende forme di assistenza ideate, di ridimensionare in maniera cospicua la domanda di giustizia e di poter affrontare, poi, in maniera almeno astrattamente realizzabile, il problema della ristrutturazione del sistema.
Appurata, infatti, la dimensione, qualitativa, oltre che quantitativa, del problema, si potrà e si dovrà decidere la delicatissima questione dell'affidamento di una parte, e di quale parte, dell'amministrazione della giustizia a magistrati non togati.
E' evidente a tutti che il sistema sino ad oggi seguito per sopperire alla insufficienza di giudici togati (utilizzo di Giudici di Pace, GOA e GOT) non ha dato buoni risultati sotto il profilo qualitativo, mentre ha prodotto una
sensibile riduzione dell'arretrato delle cause.
Dunque, appare inevitabile riconoscere che la Magistratura togata non è in grado di far fronte alla domanda di giustizia, nella sua attuale composizione numerica, ma che, viste le imponenti dimensioni del ricorso ai giudici onorari, non lo sarebbe neanche se si raddoppiasse il numero dei togati, il che appare, comunque, risultato impossibile da raggiungere, non solo per le difficoltà di arrivare ad un raddoppio della quota del bilancio dello Stato destinata alla giustizia, ma anche per le resistenze di una parte della Magistratura togata, poco incline ad accettare un ampliamento dei ruoli tale da far perdere alla categoria quella caratteristica di casta che un po' la contraddistingue.
Ma se ciò è vero, è altrettanto vero che il livello qualitativo delle decisioni dei Giudici di Pace, ma anche dei GOA, dei quali si è recentemente andati ad un rinnovo degli incarichi, o dei GOT, che in realtà non dovrebbero emettere decisioni, ma che, invece, in alcune realtà lo fanno, appare in linea di massima insufficiente ed il suo miglioramento richiede, in ogni caso, uno sforzo di formazione ed aggiornamento del personale incaricato che finisce per rendere meno appetibile per lo Stato, anche sotto il profilo economico, la soluzione prescelta.
Ed allora, ci si dovrebbe interrogare sulla possibilità di utilizzo dei magistrati onorari in compiti esclusivamente paragiudiziari, che alleggeriscano il magistrato togato da molte incombenze più burocratiche ed esecutive che giudiziali; anche i tentativi di conciliazione, in molti casi oggi svolti in sede penale dagli ufficiali di Polizia Giudiziaria, potrebbero ben costituire un terreno, qualitativamente interessante, su cui gli onorari potrebbero far valere la loro professionalità, con risultati sicuramente più apprezzabili (e liberando, inoltre, gli ufficiali di P.G. da compiti che sovente non sentono come propri); destinati a ciò, i magistrati onorari potrebbero essere meglio utilizzati ed apportare il loro utilissimo contributo al superamento della crisi della giustizia.
Ma certo, ciò non sarebbe sufficiente senza un cospicuo aumento dei magistrati togati, un miglior controllo sulla loro produttività, una revisione delle circoscrizioni e dei distretti giudiziari ed una rivisitazione dei sistemi
processuali attualmente vigenti, oltre che senza un consistente aumento del personale amministrativo ed un suo più razionale utilizzo.
E' un problema di dosaggio degli ingredienti necessari, ma dobbiamo prendere atto della necessità di utilizzarli tutti, in un'ottica di lungo periodo.
Così dimensionato il campo, occorre, ora, passare al problema della formazione degli operatori di diritto.
Sotto questo profilo, appare fondamentale affrontare, ovviamente sul lungo periodo, la questione della formazione universitaria che dovrebbe essere sempre più finalizzata a predisporre gli studenti che scelgano un indirizzo "giudiziario" ad una comune coscienza e cultura della giurisdizione, sia che essi siano orientati alla carriera di magistrato, sia alla professione di avvocato; lo sviluppo successivo dovrebbe essere rappresentato dalla creazione di una scuola professionale comune, almeno parzialmente, che consenta
l'acquisizione di un approccio condiviso alla risoluzione delle questioni giuridiche, ferma restando, ovviamente, la diversità dei ruoli rivestiti da ciascuno.
Occorrerà, poi, individuare criteri maggiormente soddisfacenti per il concorso in magistratura e per gli esami di abilitazione alla professione forense, per i quali, ad esempio, appare assolutamente necessario pervenire ad una Commissione unica nazionale, suddivisa, poi, in sottocommissioni locali, che determini i criteri validi per tutta Italia per il giudizio sugli elaborati, eliminando, così, le sperequazioni oggi esistenti tra zona e zona.
Quanto al tema della separazione delle carriere o delle funzioni, occorrerà muoversi sdrammatizzando e smitizzando la questione: il problema va affrontato con spirito assolutamente laico, nel senso che, in astratto, una separazione delle carriere non è, di per sé, segno di mancanza di democrazia e di autonomia della Magistratura; ciò detto, però, 1)essa non sarebbe certamente la panacea per tutti i mali della giustizia italiana; 2) non risponde al vero che il principio della separazione delle carriere sia, oggi, previsto attraverso l'utilizzo del termine "terzo" inserito nell'art. 111 Cost., dovendosi la terzietà del giudice valutare con riferimento alle parti processuali nel singolo processo; 3) il momento politico induce chiunque abbia un minimo di senso politico a ritenere che la separazione delle carriere, se realizzata, sarebbe seguita un attimo dopo dall'assoggettamento del P.M. al potere esecutivo.
Se tutto ciò è vero, non resta che agganciarci ancora una volta alla nostra Costituzione che prevede che i magistrati si differenzino tra loro solo per le funzioni svolte.
Pare ovvio, a questo proposito, che uno dei punti fermi di un progetto comune della sinistra sulla giustizia dovrebbe prevedere la cancellazione, almeno in grandissima parte, della nuova normativa sull'Ordinamento giudiziario, attualmente rinviata alle Camere dal Presidente della Repubblica.
Sempre in una battaglia a favore dell'autonomia e dell'indipendenza dei magistrati, occorrerà, poi, opporsi vigorosamente ad una serie di riforme proposte che mirano ad eliminare,o quantomeno a minare, il principio
dell'obbligatorietà dell'azione penale, caposaldo del nostro ordinamento: la circostanza che, di fatto, la magistratura non riesca ad assolvere a quel principio per l'eccesso di procedimenti penali pendenti non deve andare ad inficiare la validità del principio stesso, ma va vista, piuttosto, nel quadro di semplificazione e di riduzione della domanda di giustizia sopra delineato che renderebbe più praticabile l'effettiva applicazione del principio.
Non sostenere il principio porterebbe a conseguenze gravissime, come sono quelle ipotizzate nei disegni di legge già all'esame delle Camere, secondo i quali il Ministro della Giustizia dovrebbe dettare, all'inizio di ogni anno giudiziario, gli indirizzi della politica giudiziaria da seguire da parte dei magistrati, o come quella, ancora più grave, di imporre ai P.M. di esercitare l'azione penale solo sulle inchieste loro presentate dalla P.G.: si tratta di aspetti pericolosissimi, sui quali, sovente, non si percepisce da parte della sinistra una sufficiente attenzione ed un alto grado di indignazione; un P.M. che dovesse iniziare l'azione penale solo su segnalazione della P.G. sarebbe già, di fatto, un P.M. sottoposto all'esecutivo.
Per ciò che concerne i magistrati, poi, si è già detto che sarebbe necessario monitorarne l'efficienza e l'impegno, per eliminare quelle sacche di inefficienza che a volte screditano l'intera giustizia e ciò dovrebbe essere fatto seriamente dai capi degli Uffici, il cui giudizio dovrebbe essere reale e non di routine e sottoposto al controllo dei Consigli Giudiziari, dei quali dovrebbero essere parte integrante anche gli avvocati.
Anche una revisione, come detto, delle circoscrizioni e dei distretti contribuirebbe ad eliminare quelle sacche di inefficienza sopra ricordate.
Per quanto riguarda gli avvocati, e ribadita la necessità di una formazione comune con i magistrati, resta il problema, assai complesso, della pratica forense, utilissima se fatta seriamente, ma che sovente si risolve in un utilizzo sottopagato di forza lavoro da parte del dominus.
Se la pratica costituisce un tipo di rapporto misto, nel quale devono venire contemperati e soddisfatti i bisogni del praticante di apprendere, del dominus di avere un aiuto a fronte della formazione da lui esperita in favore del praticante e della collettività di avere degli avvocati che siano in grado di rappresentare gli interessi dei cittadini, allora ben potrebbe essere studiato un meccanismo per cui venga garantita al praticante una retribuzione minima, il cui esborso potrebbe essere a carico non solo del dominus, ma anche, in misura inferiore, del Consiglio dell'Ordine.
L'aumento incontrollato degli avvocati rischia di determinare, in alcuni casi, situazioni di scarsa professionalità ed anche di scarsa correttezza nei rapporti con i colleghi, ma anche con gli utenti: su questo punto, i Consigli dell'Ordine hanno un'importantissima funzione di controllo che va difesa, soprattutto in
favore del diritto del cittadino ad essere assistito da un difensore professionalmente capace ed eticamente corretto.
Occorrerà, poi, affrontare il problema, in parte correlato a quello precedente, della rappresentatività politica degli avvocati, oggi inspiegabilmente attribuita ad un'associazione privata, sconosciuta ai più, come l'OUA; diversa appare la situazione, sul versante dei penalisti, dell'Unione delle Camere Penali che ha certamente un maggior seguito ed una maggiore rappresentatività, ma che gode di una sovraesposizione mediatica comunque eccessiva, spiegabile solo con la coincidenza, che per lungo tempo ha caratterizzato quell'associazione, dei suoi vertici con i vertici del Centro-Destra, il che ne ha fatto un utilissimo strumento di lotta contro la magistratura.
Dunque, dovrà essere studiato un progetto di creazione di un organismo effettivamente rappresentativo degli avvocati, eletto sulla base di elezioni a seguito di confronto politico sui contenuti dei programmi, con un sistema proporzionale, che garantisca la presenza anche delle minoranze.
La questione appare assai rilevante perché l'Avvocatura può essere strumento di notevole peso in uno scontro sugli assetti istituzionali.
Passando, ora, ad esaminare le questioni di merito, relative, cioè, alle necessarie riforme in campo sostanziale e processuale, è necessario affrontare separatamente i vari aspetti.
Diritto civile: una riforma del diritto civile appare utile per meglio razionalizzare l'intera materia che ha subito innovazioni di notevole peso e che rendono difficile l'interpretazione di alcune fattispecie alla luce di una
normativa assai datata; ciò detto, però, non pare che questa situazione sia causa di intoppi, ritardi o di denegata giustizia: non si tratta, dunque, di una priorità, ma di materia da trattare con tempi ragionevoli.
Diritto del lavoro: la situazione è, in questo settore, assai drammatica, dopo l'entrata in vigore di buona parte della nuova normativa prevista dalla L. 30. La sostanziale trasformazione delle ipotesi eccezionali di rapporto di lavoro atipico o a termine nella regola con cui si forma il rapporto di lavoro, l'attribuzione ad organismi certificatori del potere di definizione della natura del rapporto hanno profondamente modificato il panorama, in maniera ancora più distruttiva di quanto, ad oggi, sia stato percepito. La risposta a quella modifica non potrà essere, pertanto, che una cancellazione di quella normativa e la sua sostituzione, nelle parti che possano richiedere un intervento di ammodernamento, con una normativa più rispettosa delle caratteristiche che, da sempre, hanno caratterizzato il nostro ordinamento, contraddistinto, come sappiamo, dall'affermazione che "l'Italia è una repubblica fondata sul lavoro", affermazione di non poco momento, se si considera che la Costituzione Europea, anzi, il Trattato Costituzionale Europeo, si limita a parlare di "diritto a lavorare" e mai di "diritto al lavoro".
Diritto penale: già da tempo è al lavoro una Commissione per la riforma del Codice Penale; occorrerà intervenire onde quella sia l'occasione per ripensare l'intero sistema penale, anche alla luce delle argomentazioni iniziali di questo lavoro, in tema di contributo alla riduzione della domanda di giustizia.
Un governo della sinistra dovrebbe caratterizzarsi anche attraverso una diversa sensibilità rispetto a determinati fatti, qualificabili come reato perché come tali percepiti dalla società: é mai possibile sostenere che il falso in bilancio non rappresenta un qualcosa recepito negativamente dai cittadini?
E non potrebbe costituire elemento caratterizzante di una nuova fase la richiesta di legalizzazione delle droghe (quantomeno quelle leggere, anche se oggi la divisione non è più esistente nella nostra normativa), con il risultato di eliminare almeno il 50% dei processi che attualmente pendono avanti i nostri Tribunali, per reati collegati allo spaccio di sostanze stupefacenti?
Si tratterebbe, né più, né meno, di applicare il concetto di riduzione del danno, che sociologi ed antropologi hanno ormai inserito a pieno diritto tra gli strumenti per combattere la devianza e la marginalità.
Potranno, poi, essere inseriti strumenti quali la irrilevanza del fatto, già presenti nel nostro ordinamento, sia pure in settori limitati.
Processo civile: la terapia, in questo caso, non può che essere d'urto, nel senso che la situazione è talmente grave che solo una modifica radicale del sistema può portare ad una possibilità di recupero.
La via che appare più idonea è quella dell'applicazione tout court del rito del lavoro a tutte le cause civili; le obiezioni a questa proposta saranno certamente legate al timore degli avvocati di incorrere nelle decadenze
previste espressamente dal rito del lavoro; alla considerazione (assolutamente infondata) che il diritto civile, in generale, sia più complesso del diritto del lavoro ed infine al fatto che il rito del lavoro avrebbe dato cattiva prova di sé nei 30 anni di sua applicazione.
Ora, quanto al primo argomento , esso appare risibile; spetterebbe agli avvocati adeguarsi professionalmente alle nuove esigenze del processo, se davvero questo fosse un metodo di superamento delle difficoltà del sistema; non pare il caso di spendere parola sul secondo argomento, data la sua opinabilità; quanto al terzo aspetto, il felice andamento delle cause di lavoro in alcuni distretti, quali
Torino, Milano, Genova dimostra in maniera inoppugnabile che, laddove il rito ha fallito, come a Roma e a Napoli, la colpa non è certo da attribuirsi alle caratteristiche del rito stesso, ma alla cattiva organizzazione del lavoro, ad una errata suddivisione ed assegnazione dei magistrati, ad una diversa composizione (con la presenza di un abnorme numero di cause previdenziali nei Tribunali come Roma e Napoli, quasi a significare un tacito accordo di tutti a creare un ulteriore ammortizzatore sociale per le zone d'Italia meno ricche) della domanda di giustizia nei vari distretti, ed infine ad una inefficienza dei magistrati.
Una particolare attenzione, poi, dovrà essere riservata alla questione del Tribunale per i Minorenni, del quale si ipotizza l'eliminazione, almeno nel settore civile: si tratta di materia assai delicata, che dovrà essere risolta
con grande equilibrio, perché la creazione di apposite sezioni specializzate nei Tribunali ordinari non risolverebbe molti dei problemi oggi esistenti e, nello stesso tempo, rischierebbe di far perdere molte delle competenze professionali formatesi negli anni.
Una possibile soluzione potrebbe essere quella che il Tribunale per i Minori mantenesse, accanto alla competenza in materia penale, una competenza residuale in una delle materie più delicate, l'adozione, demandandosi, invece, alle Sezioni specializzate tutti gli altri procedimenti relativi ai minori nati dalle
unioni di fatto.
Processo di esecuzione civile: si tratta del settore più disastrato del sistema; i cittadini, infatti, dopo aver dovuto affrontare le lungaggini del processo di cognizione (magari preceduto dalla costituzione di parte civile nel procedimento penale) ed avere ottenuto una sentenza favorevole, devono affrontare la ben più
grave incognita dell'esecuzione della sentenza stessa, con tempi, costi ed esiti imprevedibili.
Come Giuristi Democratici, avevamo già in passato elaborato un progetto di radicale riforma del sistema, cui ci si richiama, che potrebbe costituire una base di partenza per l'indispensabile riforma del settore.
Processo amministrativo: nel grigiore di quel rito, notoriamente ritenuto una sacca di denegata giustizia, spicca la necessità di giungere per via legislativa ad una più chiara divisione delle competenze tra giudice ordinario e giudice amministrativo, per evitare i conflitti di giurisdizione che paralizzano sovente i processi.
Immigrazione e relativo processo: anche in questo campo, la prima azione da esperirsi dovrebbe essere quella di una radicale riforma della normativa recentemente introdotta dalla L. Bossi-Fini.
Una seria politica di regolamentazione dei flussi, accompagnata da una vera sanatoria di coloro che già oggi lavorano continuativamente in Italia, ma irregolarmente secondo la norma; l'introduzione di una specifica normativa per i richiedenti il rifugio, una più larga applicazione dell'art. 10 Cost. in materia di asilo, costituirebbero elementi caratterizzanti di una politica giudiziaria aperta alle domande ed alle necessità provenienti dai settori più emarginati e più poveri del globo.
In tutti i casi, poi, il processo nei confronti di chi abbia violato le disposizioni in tema di soggiorno dovrà essere permeato dal massimo garantismo, proprio perché rivolto contro i soggetti più deboli; in tale ottica, il processo dovrà essere affidato nuovamente alla Magistratura ordinaria, con l'obbligatoria presenza del difensore e con tempi tali da garantire al cittadino extracomunitario espellendo di poter esercitare i suoi diritti.
Processo penale: molto si è detto e molto si è scritto, anche da parte nostra, sul tema, particolarmente suggestivo.
Partendo dal presupposto che appare fuori dal tempo pensare ad una radicale riforma di un processo che ha solo 15 anni di vita (nel corso dei quali ha avuto stravolgimenti enormi), occorre studiare meccanismi, anche qui, di riduzione del danno.
E' pacifico che l'attuale sistema processuale è fatto in maniera tale da consentire lo svolgimento di un massimo del 5% dei processi pendenti: in altre parole, solo se il 95% dei procedimenti viene definito con i riti alternativi, si potrà celebrare con pienezza di garanzie il restante 5%.
E poiché il "nuovo" processo, per essere ben celebrato e sfruttato dalle parti nella sua ampiezza, richiede costi insostenibili, tanto da poter, senza tema di smentita, essere considerato un "processo per i ricchi", ben si comprende quale sarà il 5% dei processi che si celebreranno con un articolato dibattimento, nel
corso del quale la prova verrà formata nel contraddittorio delle parti, che avranno diritto di difendersi provando, di fronte ad un giudice terzo ed assistite da un avvocato professionalmente preparato e che ha avuto agio di preparare in maniera esaustiva il processo: un processo, dunque, bellissimo, giusto, ma riservato a pochi privilegiati; sotto questo profilo, anche l'introduzione del patrocinio a spese dello Stato non ha portato a grandi risultati, stante l'estrema limitatezza della sua applicazione: anzi, sotto un certo profilo, esso ha comportato paradossalmente un ulteriore squilibrio nei confronti dei ceti meno abbienti; infatti, il limite di reddito di 9.200 Euro consente l'ammissione a pochissimi lavoratori, posto che una retribuzione di 700 Euro circa mensili è difficilmente ipotizzabile, mentre lo consente ad una serie di imputati che, sovente per loro scelta, si sono dedicati al reato, senza mai avere un lavoro stabile: emblematico, sotto questo profilo, è stato un processo per associazione mafiosa svoltosi a Torino, in cui tutti i più grossi calibri del gruppo hanno beneficiato del patrocinio statale.
Un ulteriore risultato sarà che buona parte di quel 5% dei processi che potranno essere celebrati nel rispetto di tutte le garanzie, si concluderà con una declaratoria di prescrizione, e ciò anche grazie all'accorciamento dei termini di prescrizione per molti reati, attualmente all'esame delle Camere, mentre gli altri processi si concluderanno regolarmente, a prezzo della rinuncia da parte degli imputati a molte delle garanzie previste per i processi ordinari.
Si tratta di una pesante rinuncia, difficilmente giustificabile con i cittadini meno abbienti, non apparendo sufficiente la riduzione di pena prevista per il patteggiamento e per il rito abbreviato a compensare l'imputato delle minori garanzie di cui può godere.
Ma se vogliamo salvaguardare il principio del rito accusatorio, ed in nome di un concreto realismo, da questa situazione non si può tornare indietro; si potrà, però, apportare modifiche tali da reintrodurre anche nei riti alternativi una serie di misure di tutela dell'imputato (in questo senso, già si muove la possibilità della richiesta di rito abbreviato condizionato all'ammissione di prove), ma anche a tutela della parte civile, che sovente si vede costretta ad iniziare, dopo che l'imputato ha patteggiato la pena, una causa civile nella
quale deve provare, e sovente la difficoltà della prova è enorme, la responsabilità dell'imputato.
La tutela delle vittime del reato è argomento sovente negletto dalla sinistra, ma che merita, viceversa, un'attenzione particolare, soprattutto nel momento in cui si parla, addirittura, di eliminazione della costituzione di parte civile, per snellire il processo penale.
Si è già detto che la sentenza penale di condanna non è, in molti casi, l'unico modo per aiutare concretamente la persona offesa dal reato ad uscire dalla situazione di sofferenza in cui si trova, ma ciò non significa che, invece, in molti casi, non sia lo strumento più efficace per riuscire ad ottenere, quantomeno, un risarcimento del danno subito.
In questa ottica, allora, ben si potrà stabilire che il consenso al patteggiamento da parte del P.M. sia negato in assenza del risarcimento del danno alla persona offesa dal reato, salvo che l'imputato dimostri di essere
nell'assoluta impossibilità di farvi fronte; ed ancora, potrebbe essere previsto l'obbligo per il giudice di liquidare il danno richiesto dalla parte civile, salvo il caso, ovviamente, dell'impossibilità di effettuare la liquidazione per carenza di elementi: ciò servirebbe a superare la tendenza di molti giudici a lavarsi le mani della questione risarcitoria per risparmiare tempo, demandandone la decisione al giudice civile, ma costringendo, così, la vittima del reato ad una ulteriore azione giudiziaria.
In definitiva, l'obiettivo cui tendere dovrebbe essere quello di un processo accusatorio, esteso al maggior numero possibile di processi, svolto con tutte le garanzie per imputato e parte civile, con l'eliminazione di quelle garanzie volte esclusivamente a difendersi, come si suol dire con un'efficace espressione, "dal processo", di fronte ad un giudice autonomo, indipendente e terzo rispetto alle parti di quel processo; i riti alternativi, a loro volta, dovrebbero essere forniti di quelle garanzie minime per imputato e persona offesa dal reato che rendano accettabile il sacrificio delle altre garanzie previste per i processi ordinari.
Questione carcere: strettamente legata alla questione processuale penale è la vicenda carceraria, rispetto alla quale sono in corso da anni discussioni sino ad ora scarsamente produttive.
Sono a confronto, infatti, (almeno) due scuole di pensiero, l'una che vede nel carcere lo strumento di punizione (ed anche di salvaguardia della collettività) verso i cittadini che abbiano commesso reati, e l'altra che lo considera, invece, uno strumento di rieducazione e risocializzazione.
La riforma Gozzini ha perso molto del suo effetto propulsivo ed oggi la vita nel carcere è legata molto al tipo di direzione che viene data al singolo istituto di pena; certamente, sarebbe assai utile l'introduzione per via legislativa della figura del Garante per le persone detenute, oggi prevista solo in alcune realtà territoriali, mentre fondamentale appare la battaglia per la umanizzazione dei rapporti carcerari anche nell'applicazione di strumenti, quali il 41 bis (o l'Alta Sorveglianza, istituto addirittura non normato) che, se possono avere una funzione in determinate situazioni processuali per interrompere i rapporti del detenuto con le organizzazioni delinquenziali esterne, non possono mai essere finalizzate alla distruzione o all'indebolimento della personalità del detenuto, al fine di farlo confessare o di ottenerne l'allontanamento dall'organizzazione.
In questo snodo, emerge l'altro problema, legato al carcere, vale a dire la funzione della detenzione cautelare, sovente vista come un'anticipazione della pena, quasi che l'arresto di per sé significhi colpevolezza; fondamentale appare uno sforzo di informazione alla collettività, attraverso interventi nelle
fabbriche e nelle scuole, per far comprendere l'esatto significato della detenzione, così come, peraltro, di un termine, sovente abusato, come è quello del garantismo.
L'attività di diffusione della cultura giuridica potrebbe essere, per la sinistra, uno degli obiettivi maggiormente caratterizzanti di questa fase, soprattutto se si pensa all'attacco alla Costituzione che è in atto da parte del
Centro-Destra, cui occorrerà rispondere, come già si comincia a fare con i Comitati per la difesa della Costituzione, con un'opera di informazione capillare, che faccia cogliere anche al cittadino medio la portata di certe modifiche, che possono apparire ad un occhio inesperto, scarsamente rilevanti, e che invece contribuiscono a scardinare l'assetto istituzionale della Repubblica.
Analoga possibilità, ed anzi, necessità, di intervento la si può riscontrare in relazione al Trattato Costituzionale Europeo, rispetto al quale sarà necessaria un'opera di informazione e di sensibilizzazione al problema, unita alla dovuta critica rispetto agli aspetti certamente non condivisibili di quel documento, tra i quali quelli già sottolineati nel campo del lavoro e, soprattutto, quello, fondamentale, legato alla mancanza nel Trattato di quello spirito di condanna della guerra, totale e netto, con l'eccezione di quella di difesa, che
contraddistingue la nostra Costituzione.
Questi ultimi punti potrebbero apparire meno specifici rispetto al campo di intervento dei giuristi e al progetto unitario sulla giustizia cui tende questo documento, ma in realtà essi costituiscono l'asse portante di un nuovo modo, rispetto a quello cui si ispira l'attuale governo, di gestire i rapporti umani ed in altre parole di gestire la giustizia, interna o internazionale che sia, cui noi, come Giuristi Democratici e l'intera sinistra, dovremmo contribuire con i nostri sforzi e le nostre specifiche capacità.
Ci rendiamo ben conto che questo documento può apparire banale, poco più di un "elenco della spesa" o di un libro dei desideri, ma se ci si pensa un attimo, si vedrà che si tratta di uno sforzo, forse velleitario, ma sincero, di individuare un asse portante dell'iniziativa della sinistra (di tutta la sinistra) su un tema che sarà fondamentale nei prossimi mesi, asse che consenta sempre di reperire una risposta non improvvisata, ma credibile e coerente agli attacchi cui è sottoposto il nostro sistema e, in caso della non mai abbastanza auspicata vittoria elettorale, di avere sin da subito chiarezza sulle priorità dell'intervento; quell'elenco della spesa, con l'aiuto degli esperti in materia di tutte le forze della sinistra, potrebbe veramente trasformarsi in un progetto che coaguli tutte le forze e che consenta di presentarsi alla collettività con un programma alternativo rispetto al falso garantismo proposto dal Centro-Destra.
Gennaio 2005
Associazione Nazionale Giuristi Democratici