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 Una nuova politica estera nel contesto della globalizzazione (F. Marcelli, F. Martone)

Pubblicato da Redazione 01-07-2005 09:37
:: Internazionali
 

La politica estera di un governo italiano che si ponga nella necessaria rottura di continuità con l'attuale sconfortante subalternità e tendenza al declino politico, civile, sociale, economico e culturale, dovrà partire dal rispetto del diritto internazionale, dallo sviluppo di livelli di democrazia effettiva anche nella conduzione della politica estera nonchè dalla proposizione e costruzione di schieramenti internazionali sui temi cruciali nella prospettiva di una vocazione davvero globale e all'altezza delle sfide del terzo millennio.

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SPUNTI PER UNA NUOVA POLITICA ESTERA NEL CONTESTO DELLA GLOBALIZZAZIONE: PACE, BENI COMUNI, UGUALITARISMO, DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA

di Fabio Marcelli e Francesco Martone
giä pubblicaot in "Democrazia e
diritto n. 1, 2005"

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1. Premessa

Gli ultimi anni hanno visto una grave crisi del diritto internazionale e del modello di organizzazione internazionale che era stato progettato subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, e che aveva il suo perno nell'Organizzazione delle Nazioni Unite.

E' noto come tale modello non abbia mai potuto funzionare a pieno, per effetto sostanzialmente di due grandi fenomeni che hanno accompagnato i primi quarantacinque anni successivi alla creazione dell'ONU:

a) la spaccatura del mondo in blocchi contrapposti per effetto della frattura ideologica, politica e strategica fra USA ed URSS;

b) l'emergere di una serie di nuovi Stati indipendenti dal processo di colonizzazione, latori di nuove domande, in parte non previste dalla Carta delle Nazioni Unite.

Si era delineato, proprio a seguito di questo secondo fenomeno, e approfittando del quadro generale marcato dalla contrapposizione fra i blocchi e dalla conseguente impossibilità degli Stati Uniti di imporre la propria egemonia all'intera comunità internazionale, il tentativo di passare a una nuova fase della stessa. Ma tale tentativo, che aveva il suo momento più alto nel 1974, con l'adozione a maggioranza da parte dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite delle risoluzioni sul nuovo ordine economico internazionale e della Carta dei diritti e doveri economici degli Stati, doveva fallire, per effetto della controffensiva delle forze capitalistiche.

Con il passaggio a una nuova fase della storia della comunità internazionale, a seguito della fine del blocco orientale, il modello originario sembra essere entrato definitivamente in crisi, proprio a seguito della vittoria di tali forze.

Sono quindi oggi in discussione i principali capisaldi del sistema delle Nazioni Unite e cioè:

a) il divieto dell'uso della forza, contenuto nell'art. 2, comma 4, della Carta delle Nazioni Unite;

b) il principio di uguaglianza sovrana e di cooperazione fra gli Stati, per effetto da un lato della reintroduzione della guerra come strumento di politica nazionale e, dall'altro, dell'approfondimento delle diseguaglianze fra gli Stati e all'interno di essi.

Tale processo è a sua volta il risultato dell'accumulazione di potere e di capitale da parte di soggetti privati, formalmente non parte del tessuto giuridico internazionale ma sostanzialmente dotati di grandi mezzi e possibilità di incidere sulle decisioni, che anzi essi operano in buona misura autonomamente, senza peraltro che a tale posizione di supremazia effettiva si accompagni alcuna responsabilità giuridica.



E' evidente come tale situazione sia in grave contraddizione con i bisogni effettivi dell'umanità e con la necessità, sempre più urgente, di dare una risposta risolutiva ai gravi problemi globali emergenti, tra loro strettamente collegati: pace, ambiente, povertà, democrazia.

Su tale base, si è avviata una fase di lotta e di contrapposizione che ha per oggetto la ridefinizione dei contenuti delle norme internazionali applicabili e la possibilità che le stesse siano formulate ed attuate in conformità ad alcuni obiettivi e valori di interesse generale. Tale lotta ha per posta in gioco non solamente le norme giuridiche ma prima ancora i valori etici che fanno loro da sfondo e gli obiettivi da realizzare in considerazione degli interessi contrapposti: da un lato quelli delle oligarchie economico-finanziarie oggi dominanti, dall'altro quelli delle moltitudini diseredate e di vasti e crescenti settori sociali espropriati non solo dal punto di vista materiale ma ancor più da quello della possibilità di incidere concretamente sulle scelte globali, appannaggio sempre più di gruppi ristretti e sottratti ad ogni controllo.

Tale situazione è tanto più insopportabile in quanto i settori sociali colpiti si dotano, in conseguenza dei processi di alfabetizzazione di massa connessi ai processi di scolarizzazione e alla diffusione delle nuove tecnologie, di strumenti cognitivi e culturali che consentono loro di accedere all'infelice consapevolezza della situazione realmente esistente. E' in tale fenomeno di crescente coscientizzazione di massa che si pongono le basi del movimento internazionale di contestazione dell'ordine neoliberista .

Da tale punto di vista si apre, all'interno stesso degli Stati e delle organizzazioni sopranazionali, come l'Unione europea, una lotta per l'egemonia fra forze contrapposte, miranti le une a perpetuare l'attuale modello di sviluppo basato sulla distruzione delle risorse naturali e sulle disuguaglianze sociali crescenti, le altre a rovesciare tale modello per imporne uno differente, basato sul principio dell'esauribilità delle risorse, di un sostanziale egualitarismo sociale e sulla necessità di rispettare i beni comuni fondamentali, categoria suscettibile di ampliamenti e ridefinizione a partire da un nucleo centrale che comprende oggi elementi diversi ma tutti altrettanto essenziali per il genere umano come l'acqua , la conoscenza ed altri.
E' evidente come le scelte di politica estera non possano prescindere da un netto schieramento in uno di questi due campi contrapposti.

E' altresì evidente come non si possa dare, in questo contesto globalizzato, alcuna lettura della categoria, per molti versi discutibile, di interesse nazionale, senza che essa sia inserita pienamente nella problematica più ampia cui abbiamo ora accennato. Non è cioè pensabile soddisfare l'interesse nazionale del nostro Paese senza che sia al tempo stesso rispettata la più vasta serie di priorità esistente a livello globale. Un discorso, questo che vale anche, anzi probabilmente a maggior ragione, per la dimensione europea degli interessi.

In questo quadro occorre rivedere il concetto stesso di geopolitica, quantomeno nella sua accezione tradizionale, di studio della competizione fra gli Stati che conduce in modo inevitabile alla guerra e allo sterminio .


3. Dimensioni del processo di globalizzazione

Questo costituisce del resto, in buona parte, una conseguenza del processo di globalizzazione che è composto da due elementi, qualitativamente distinti e per molti versi di segno opposto ma che si trovano in relazione dialettica fra loro.

Il primo di questi elementi è la maggiore compenetrazione, a un livello mai finora raggiunto nella storia umana, fra le varie regioni del mondo, i vari Stati e i vari popoli, soggetti questi ultimi, d'altronde, a un processo di costante ridefinizione per effetto delle migrazioni internazionali e del salutare estendersi del fenomeno del meticciato fisico e culturale.
Tale primo elemento, d'altronde, non può essere colto senza mettere in luce, al tempo stesso, che la globalizzazione è il risultato di scelte precise di cui sono state beneficiarie soprattutto le grandi aziende multinazionali. Essa cioè avviene sotto un segno di classe preciso, il predominio di settori del capitalismo internazionale, innanzitutto quello finanziario ma poi anche altri: dalle telecomunicazioni agli armamenti, dal nuovo settore emergente chimico-alimentare ad altri ancora.

Non si tratta quindi di un fenomeno naturale ed inarrestabile. La presa di coscienza dell'infondatezza del dogma dell'ineluttabilità della globalizzazione economica-finanziaria deve quindi tradursi in analisi e progettualità volte al superamento degli strumenti attuali di governance economico-finanziaria. L'accelerazione imposta al turbocapitalismo, sotto il nome di consenso di Washington, è la conseguenza delle scelte programmatiche e strategiche della Banca mondiale, del Fondo monetario internazionale e più di recente dell'Organizzazione mondiale del commercio.
Si tratta oggi di un processo che sta mostrando la corda: basti pensare all'America Latina, dove l'applicazione pura e semplice delle ricette neoliberiste ha creato le premesse per la perdita di un intero decennio, ma oggi questa stessa applicazione è sotto accusa con l'affermazione di un nuovo schieramento di sinistra ed un nuovo forte impulso proveniente dai movimenti sociali organizzati.

La direzione di sviluppo imboccata sulla base degli interessi di tale aziende si è rivelata del resto esiziale per l'umanità nel suo complesso. E' giunto pertanto il momento di una svolta decisa e decisiva che non potrà non vedere un recupero del ruolo degli Stati, uti singuli ed uti universi, cui peraltro si deve accompagnare una forte democratizzazione degli stessi, fino ad intravedere un sostanziale sganciamento della dimensione pubblica, che deve ad ogni costo tornare a prevalere, dagli aspetti puramente o prevalentemente statalistici della stessa e, per altri versi, l'emergere di una nuova dimensione locale che si ponga direttamente in rapporto con il livello globale, recuperando le forti potenzialità democratiche del municipalismo storico .
E' in discussione, anzitutto, il ruolo-guida di fatto esercitato da un lato dal capitale finanziario e dall'altro dall'amministrazione statunitense, in forza della posizione di supremazia militare e strategica assunta dopo la fine dell'Unione sovietica.

Tale ruolo-guida, d'altronde, si è esercitato rimuovendo ogni ostacolo all'accumulazione selvaggia del capitale, che ha potuto utilizzare tutte le opportunità offerte dalle differenti condizioni esistenti nei vari territori, mediante i processi di delocalizzazione e promuovendo la competizione tra i territori stessi, che in vari casi è sfociata in situazioni di aperta belligeranza locale, agevolata dalla crisi dello Stato.

L'ascesa degli Stati Uniti ha pertanto determinato la crisi del diritto internazionale nei suoi elementi fondamentali: convivenza pacifica fra gli Stati e rispetto del principio di sovrana eguaglianza, vale a dire garanzia per gli apparati pubblici di poter esercitare la propria funzione di promozione della coesione sociale e di garante un ordinato svolgimento delle attività economiche.


4. Per un'effettiva democratizzazione

Il potere imperiale degli Stati Uniti e quello delle grandi società multinazionali si sono pertanto affermati congiuntamente e traendo alimento l'uno dall'altro.

Senza lo svuotamento di questi poteri non potrà aversi un'effettiva democratizzazione. Grande valore assume, da questo punto di vista, il movimento internazionale e globale che si è sviluppato a partire dalle grandi manifestazioni di Seattle e di Genova e dei Fori sociali mondiali di Porto Alegre e di Mumbai. Tale movimento, tuttavia, non potrà prevalere senza una forte e solida articolazione a livello locale che assume come proprio riferimento anzitutto gli Stati, snodo tuttora centrale e strategico di ogni politica, ivi compresa quella europea, ma anche le autonomie territoriali e, su scala più ampia, le Unioni di Stati e lo stesso agone politico mondiale (Nazioni Unite ed agenzie specializzate, istituzioni finanziarie e Organizzazione mondiale del commercio).
Il processo di democratizzazione dovrà quindi investire la politica estera, terreno difficile in questo senso, specialmente in un Paese tradizionalmente subalterno come l'Italia. Dovrà pertanto operarsi, anche in questo ambito, un netto riequilibrio fra gli organi costituzionali che conferisca al Parlamento il ruolo guida che mai esso ha potuto esercitare su questioni di questo tipo, specialmente in un Paese subalterno .

Grande importanza assumono, da tale punto di vista, i poteri di autorizzazione alla stipula di Trattati internazionali e di approvazione degli stessi, e le leggi di indirizzo politico che riguardano l'esercizio del potere estero. E' richiesta, in questo senso, una certa capacità di innovazione concettuale che ampli e qualifichi maggiormente la panoplia degli strumenti a disposizione del legislatore.
Va operata una distinzione fra democrazia parlamentare formale e sostanziale, per invertire la tendenza all'esecutivizzazione dei meccanismi decisionali, in conseguenza della quale il Parlamento si trova oggi solo a legittimare ex-post le scelte politiche prese dall'esecutivo senza avere alcuna possibilità di incidere sulla redazione dell'agenda di lavoro e conseguentemente sulla fissazione delle priorità programmatiche.

Il necessario processo di democratizzazione pertanto deve incardinarsi su due assi principali e complementari fra di loro:

a)restituzione al Parlamento della capacità di decidere nel merito delle politiche dibattute scongiurando il rischio di un asservimento al governo;

b) riconoscimento del carattere policentrico dei processi politici e sociali, con la collegata necessità di sviluppare canali e strumenti innovativi volti a permettere la partecipazione attiva di nuovi soggetti quali i movimenti, le organizzazioni della società civile, le nuove municipalità, nella formulazione delle politiche e dei programmi. Attenzione particolare va poi dedicata al tema strategico della democrazia economica e del controllo sulle scelte attuate in questo ambito .

Mettere l'accento sulla democrazia dal basso, sulla partecipazione e sul Parlamento, come luogo centrale e principe di elaborazione delle politiche, ivi comprese quelle estere, sia a livello nazionale che europeo significa beninteso sconfiggere le pulsioni autoritarie e plebiscitarie proprie non solo della destra, che oggi è malauguratamente al governo in Italia, ma anche di settori del centro-sinistra.
Occorrerà quindi condurre una critica a fondo al sistema maggioritario, oggi tanto più pericoloso e inadeguato, in quanto la strutturazione di nuovi processi partecipativi si rivela necessaria per equilibrare le dinamiche centralizzatrici della globalizzazione economica e finanziaria. Altrettanto esiziale appare, per le sorti della democrazia e della solidarietà sociale, il modello di maggioritarismo a cascata contenuto nel cosiddetto federalismo di cui alle recenti revisioni della Carta costituzionale.

Tale modello infatti demolisce la partecipazione, creando piuttosto un sistema di scatole cinesi autoritarie e al tempo stesso arreca un colpo alla solidarietà nazionale e all'ugualitarismo, prevedendo livelli differenziati di realizzazione dei diritti sociali, in funzione di scelte politiche e di disponibilità economiche differenti. Da entrambi i punti di vista esso si rivela un nuovo insidioso apporto alla strategia della distruzione degli spazi democratici, di smantellamento dell'intervento pubblico e di saccheggio dei beni comuni che è connaturata al processo di globalizzazione.


5. Un nuovo progetto di politica estera basato sul diritto internazionale

Nonostante la crisi irreversibile del modello di comunità internazionale che si era delineato alla fine della seconda guerra mondiale, alcuni elementi fondativi e valori essenziali di tale modello devono essere recuperati nella prospettiva della rifondazione della comunità internazionale medesima.
Vanno distinte, a tale proposito, due accezioni del termine «diritto internazionale». La prima è quella tecnica ed avalutativa, che designa l'ordinamento giuridico che disciplina i rapporti fra gli Stati, la seconda invece si carica di una precisa connotazione di politica del diritto e prevede per l'appunto il recupero di questi valori, sia pure in una prospettiva aggiornata e innovativa.

Data però la situazione di tendenziale anomia cui sembra avviata la comunità internazionale per effetto dei fenomeni riferiti (prevalenza incontrastata della potenza militare degli Stati Uniti e loro sganciamento da parametri normativi di riferimento e crescita apparentemente inarrestabile del potere incontrollato dei centri economici e finanziari privati), fra le due accennate accezioni si pone un legame forte, per certi versi originale ed inedito. In altri termini, l'alternativa secca che sembra porsi, all'inizio del terzo millennio è quella fra un certo tipo di ordinamento internazionale e la negazione tout-court di ogni regolamentazione giuridica dei rapporti fra gli Stati.

Riteniamo che l'operazione di rifondazione del diritto internazionale a partire dall'attualizzazione e della riqualificazione di alcuni elementi presenti già nel disegno originario dei padri fondatori dell'Organizzazione delle Nazioni Unite sia necessaria, anche perché non è affatto vero che si sia in qualche modo esaurito il ruolo degli Stati come protagonisti primari ed essenziali della vita di relazione internazionale, anche se ovviamente tale ruolo ha subito un certo ridimensionamento per effetto della crescita del potere delle imprese multinazionali.

Occorre respingere, in questo senso, la tesi secondo la quale le relazioni internazionali non sarebbero più regolate «dal sistema dei rapporti fra stati e da ordinamenti sopranazionali, interstatali, ma dai diritti umani, tema cruciale» .
Va del pari respinta l'idea di un Impero come nuova forma politica e giuridica esistente a livello mondiale, basata proprio, peraltro, su di un'esaltazione del ruolo delle Nazioni Unite che appare con tutta evidenza in contraddizione con i dati più elementari della realtà . Vero è, al contrario, che il rilancio delle Nazioni Unite e della loro indispensabile funzione potrà avvenire solo unitamente a quello degli Stati, adeguatamente democratizzati e condizionati dall'azione dei movimenti di massa, in modo tale da costituire degli strumenti effettivi di difesa dalle conseguenze negative della globalizzazione.
La promozione di una dimensione effettivamente universale del diritto e della politica, in altri termini, presuppone il rovesciamento dell'attuale segno di classe del processo di globalizzazione.

Che gli Stati siano tuttora i protagonisti essenziali della vita politica internazionale è stato del resto dimostrato dalla guerra contro l'Iraq, preceduta peraltro da un crescendo di conflitti che vedevano il ricorso alla forza e puntavano alla rilegittimazione dello stesso, sia pure variamente camuffato, come strumento della politica nazionale. Peraltro, anche gli ordinamenti internazionali che oggi mirano ad esaltare il ruolo dell'impresa privata, sottraendola ad ogni responsabilità e ad ogni controllo, sono opera degli Stati, come dimostrato principalmente dai vari trattati internazionali che sono alla base dell'operato dell'Organizzazione mondiale del commercio.

Vero è, quindi, che le fonti del diritto internazionale continuano ad essere quelle che sono sempre state e cioè trattati e consuetudini internazionali, mentre, quanto ai contenuti di tali norme, è in corso una battaglia volta alla ridefinizione dei contenuti stessi.

In questo quadro, taluni Stati, e principalmente gli Stati Uniti, potenza imperiale, puntano a fare dei diritti umani, così come della loro concezione della democrazia, un instrumentum regni, la giustificazione di avventure militare ed ingerenze negli affari interni di altri Paesi.
Sostenere invece che, come fanno i sostenitori della teoria dell'Impero, gli Stati nazionali sarebbero oramai superati, che esisterebbe oramai una sorta di diritto cosmopolitico, che l'individuo costituirebbe oramai il soggetto dell'ordinamento globale e simili, significa scambiare i desideri, propri o altrui, per la realtà.

Beninteso gli stessi diritti umani, in tutte le loro dimensioni, e quindi quelli civili, politici, economici, sociali e culturali, restano un obiettivo di fondo, concorrendo a tracciare l'orizzonte di riferimento cui l'azione di tutti gli Stati dovrebbe ispirarsi. La vera contraddizione non è quindi fra diritti umani e mercato (universalismo giuridico ed economia monetaria), da un lato, e politica, dall'altro , ma piuttosto fra mercato e altre pratiche di potere da un lato e diritti umani dall'altro, mentre la politica costituisce piuttosto lo strumento per la realizzazione dei secondi o l'imposizione delle prime, a seconda da chi e con quali intenti lo strumento in questione venga maneggiato.

Il riconoscimento della centralità dei diritti umani nelle politiche internazionali deve in questo senso portare ad una trasformazione delle politiche volte al loro perseguimento, senza attribuire carattere virtuoso a qualcosa che virtuoso non è, come la concezione tradizionale della politica estera basata sull'«interesse nazionale» .

Va anzi sottolineato come sia stata proprio questa concezione a indebolire strutturalmente l'impianto di governance globale costruito sul sistema delle Nazioni Unite, mediante il ricorso a pratiche di selettività, doppi standard e uso strumentale dei diritti umani per giustificare interventi "umanitari".

In questo senso elementi di interesse possono essere colti nel recente dibattito rilanciato dalla presentazione del rapporto sulla riforma delle Nazioni Unite redatto dall'High Level Experts Panel su incarico del Segretario generale Kofi Annan che si sofferma in particolare sul diritto all'intervento e sulla responsabilità degli Stati nella protezione delle persone da omicidi di massa, genocidi ed espulsioni forzate .

Come sottolineato da un altro recente Rapporto , l'intervento, per poter essere ammissibile e, prima ancora, proficuo, deve costituire l'ultima ratio, godere di un ampio sostegno internazionale, aderire strettamente al diritto internazionale ed essere orientato effettivamente verso la protezione della popolazione e non la sconfitta di un governo. L'uso strumentale ed indiscriminato del diritto di ingerenza può infatti creare un sistema di «apartheid globale", senza contare che l'intervento umanitario può curare i sintomi e non certo le cause di fondo della violenza .
Al fine di operare su queste ultime, con un approccio preventivo, è invece necessario rielaborare la nozione stessa di sicurezza, rafforzando gli strumenti pacifici e civili che consentono di operare a fondo sui veri rischi e le vere minacce: degrado ambientale, epidemie, malnutrizione, povertà, corsa agli armamenti, distruzione dei beni comuni.

Un altro valore fondamentale, oggi più che mai in pericolo, è in quest'ottica certamente quello della pace, fortemente messo a repentaglio dal concetto di difesa preventiva elaborato dall'amministrazione Bush. Separare l'obiettivo della salvaguardia della pace da quello della promozione dei diritti umani significa in realtà operare, sul piano ideologico e scientifico, una grandissima mistificazione e, su quello dei fatti, negare la possibilità di raggiungere l'uno e l'altro.

Il legame fra pace e diritti umani è poi costituito dal fondamentale principio di autodeterminazione dei popoli, inteso in senso ampio, che non si esaurisce quindi nel diritto dei popoli allo Stato, ma tende a stabilire un rapporto democratico fra governanti e governati, collegandosi in questo senso al principio di sovranità popolare.

In ultima analisi un ruolo fondamentale sembra spettare al diritto internazionale per il cui accertamento vanno potenziate le facoltà di intervento di organismi come la Corte internazionale di giustizia e la Corte penale internazionale, destinata, per diventare effettiva ed efficace, a sganciarsi dal Consiglio di sicurezza e ad operare in modo sempre più autonomo nell'interesse della giustizia internazionale.


6. Riforma e rilancio delle Nazioni Unite

Dati i problemi globali cui si è accennato, le Nazioni Unite costituiscono oggi più che mai una sede necessaria. Esse però devono andare incontro a una riforma profonda e radicale.

Luci ed ombre presenta, da questo punto di vista, il Rapporto citato dell'High Level Experts Panel. Se da un lato infatti esso può essere letto come una legittimazione all'intervento militare, dall'altro ribadisce la centralità dell'ONU come strumento indispensabile per la governance internazionale.

Occorre peraltro osservare come eccessiva attenzione sia stata dedicata al tema della riforma del Consiglio di sicurezza, mentre il rapporto contiene altri elementi e spunti degni di nota.

Il primo riguarda l'interdipendenza tra povertà, mancanza di potere politico, degrado ambientale ed altri fattori che contribuiscono agli squilibri globali. Un altro è poi costituito dal rigetto dell'ordine unipolare.

Decisamente carenti appaiono invece le raccomandazioni del Panel per quanto riguarda la democraticità del sistema. Si chiede infatti un rafforzamento del Consiglio di sicurezza, che viene esortato a una maggiore attività in futuro, e contemporaneamente viene criticata la scarsa vitalità dell'Assemblea generale e la dispersività del suo programma di lavoro.
Per quanto riguarda invece all'uso della forza, il Rapporto non chiede il superamento o la reinterpretazione dell'art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, ma afferma come già il testo della disposizione in questione conterrebbe la risposta a un attacco imminente (pre-emptive self-defence).

Quanto alla risposta militare a possibili minacce di lungo periodo, la cui legittimità viene come è noto sostenuta in base alla dottrina Bush, il documento si spinge a ipotizzare la possibilità di autorizzazione delle relative misure da parte del Consiglio di sicurezza.

La composizione di quest'ultimo dovrebbe variare in seguito all'accoglimento di una delle due seguenti proposte alternative:

a) aggiunta di sei nuovi seggi permanenti senza diritto di veto (due africani, due asiatici, uno europeo ed uno latinoamericano) e di tre seggi non permanenti;

b) aggiunta di otto nuovi seggi non permanenti ma rinnovabili ogni quattro anni e di uno rinnovabile ogni due anni.
L'espansione dei membri dovrebbe vedere il coinvolgimento anzitutto dei principali contribuenti finanziari per aree regionali e dei maggiori protagonisti delle attività di peacekeeping.

A nostro avviso, invece, va posta anzitutto la questione della democratizzazione della governance, ponendo il Consiglio di sicurezza sotto il controllo dell'Assemblea generale, per quanto riguarda l'indirizzo politico generale, e della Corte internazionale di giustizia, dal punto di vista della salvaguardia della legalità internazionale; parallalelamente vanno potenziate le competenze dell'Assemblea relative a sicurezza, pace e sviluppo e occorre andare verso il superamento del diritto di veto all'interno del Consiglio e il ricorso a un sistema di maggioranze qualificate.
Crescente dovrà peraltro essere il ruolo delle unioni regionali, la cui rappresentanza a livello degli organismi delle Nazioni Unite dovrà consentire una maggiore articolazione e compattezza della costruzione politica.

In questo senso occorre esprimere, fra le due proposte alternative ricordate, una preferenza per la seconda che eviterebbe il consolidarsi di posizioni di privilegio da parte di singoli Stati. Il conseguimento di posizioni di maggior potere da parte di singoli Stati, con l'ampliamento della categoria dei membri permanenti e l'attenuazione del potere di veto, non va peraltro considerato un fenomeno necessariamente negativo, dato che esso contribuisce alla maggiore articolazione e all'emergere del carattere multipolare della comunità internazionale, il cui problema principale è attualmente costituito dalla necessità urgente di isolare e neutralizzare le tendenze imperialiste e guerrafondaie degli Stati Uniti d'America.
Se soddisfatta tale necessità potrà del resto consentire di conferire maggiore vitalità e capacità di intervento all'ampia parte (che può calcolarsi attorno al 50% del corpo politico) del popolo statunitense che rifiuta l'attuale modello bushista in tutti i suoi aspetti.


7. Quale Europa?

Anche da tale punto di vista, la questione dell'Europa si presenta come assolutamente prioritaria.
La dimensione continentale appare oggi certamente necessaria per affrontare in modo adeguato le problematiche che scaturiscono dalla globalizzazione.
Occorre tuttavia ripensare a fondo le forme e i contenuti dell'esperienza di integrazione fin qui vissuta.

E'innegabile come l'Europa sia nata sul terreno del mercato. Oggi però questa dimensione non si rivela solo del tutto insufficiente ma anche pericolosamente subalterna agli imperativi della globalizzazione neoliberista.
Il Trattato costituzionale approvato a giugno risente fortemente di questa subalternità. Esso costituisce anzi addirittura un tentativo di costituzionalizzare il mercato, che non ha precedenti in nessuna delle principali Costituzioni attualmente vigenti.

Al tempo stesso tale impostazione rende di fatto impossibili nuovi livelli di integrazione, come si è visto, drammaticamente, in materia di politica estera con le ben note spaccature ai tempi della guerra dell'Iraq.
Come ebbe a dire il compianto Jacques Derrida: "Dico sì ad un'Europa sociale e con meno mercato, sì ad un'Europa che, senza tentare di rivaleggiare con le superpotenze e senza lasciar loro tempo libero, diventi un motore dell'altermondialismo, il suo stesso laboratorio".

Visti la genesi e il testo del Trattato costituzionale europeo che il Senato sta ora discutendo, questo sogno rischia di rimanere tale. L'ipotesi che questa "Costituzione" non faccia altro che consolidare le scelte passate di politica economica e commerciale è dimostrata dalla riproposizione delle strategie liberiste, dalla direttiva Bolkenstein, agli accordi di partenariato economico (EPA) con i Paesi dell'Africa, Caraibi, Pacifico, alle modifiche dell'orario di lavoro, all'accettazione dei GATS, agli accordi commerciali con il Mercosur, all'accettazione della corsa alla competitività sui mercati internazionali, che trascina l'Europa in una nuova folle corsa al ribasso dei costi sociali ed ambientali.
Occorre al contrario ribadire l'alterità dell'Europa che ne costituisce a ben vedere il patrimonio principale e si basa su di un processo di maturazione lungo e difficile, contrassegnato da secoli di guerre sanguinose ma anche di lotte accanite per l'affermazione di elementari principi democratici e sociali.

In questo senso vanno accolti gli obiettivi fatti propri dal Forum per la democrazia costituzionale europea e in particolare l'esplicita affermazione del ripudio della guerra, il rilancio dei diritti sociali, anche mediante la riscrittura e il miglioramento della Carta dei diritti fondamentali, la concessione della cittadinanza a tutti i residenti e un laicismo di nuovo tipo che non nasconda forme di fondamentalismo non meno pericolose di quelle religiose.
La costruzione di un soggetto europeo di questo tipo risulterà decisiva anche per una nuova strutturazione della comunità internazionale, rafforzando l'elemento policentrico e antiegemonico che oggi appare più che mai indispensabile.

8. Proposte pratiche ed urgenti

Chiudiamo accennando a tre terreni strategici sui quali il nuovo governo italiano che tutti auspichiamo dovrà a nostro avviso caratterizzarsi con iniziative di ampio respiro. Un elemento comune ad essi è del resto costituito dalla presenza di una precisa base normativa di riferimento, costituita nel primo caso da un dictum della Corte internazionale di giustizia, nel secondo da un trattato internazionale e nel terzo da una disposizione legislativa ancora inapplicata.

a) Disarmo e superamento della NATO

La politica di rilegittimazione dell'uso della forza scatenata dagli Stati Uniti ha conferito nuovo slancio alla corsa agli armamenti in tutto il mondo, mettendo drammaticamente in crisi, anche in questo ambito particolare ma fondamentale, il quadro giuridico preesistente.
Di speciale importanza appare il Trattato di non-proliferazione nucleare. Come sottolineato da alcune coalizioni internazionali che operano su questo terreno, come la Middle Power Initiative e la New Agenda Coalition, l'applicazione di tale Trattato richiede un approccio bilanciato, che veda accompagnarsi al blocco della proliferazione nucleare l'effettuazione da parte delle Potenze nucleari di passi effettivi verso il disarmo , come richiesto fra l'altro anche dalla Corte internazionale di giustizia nel suo Parere sulle armi nucleari dell'8 luglio 1996 .

La politica bellicista degli Stati Uniti e l'aperta violazione del diritto internazionale conseguente all'adozione e alla messa in pratica della dottrina Bush sull'autodifesa preventiva, pongono d'altronde precisi problemi di legittimità all'alleanza militare occidentale, specie dopo la riformulazione dei suoi obiettivi strategici avvenuta nel vertice di Washington del 1999.

Vanno messi in discussione, in particolare, lo status e la stessa esistenza delle basi militari statunitensi e NATO nel nostro Paese , il cui funzionamento, come pure la concessione agli Stati Uniti di diritti di transito e altre facilità, costituisce una chiara violazione dell'art. 11 della nostra Costituzione unitamente a tutto il diritto internazionale applicabile a partire dalla Carta delle Nazioni Unite.

Le stesse basi, d'altronde, presentano profili di illegittimità formale e sostanziale alla luce dello stesso Trattato di non-proliferazione nucleare e delle minacce al diritto alla salute delle popolazioni circostanti. Sarebbe pertanto opportuno che il Parlamento si dotasse di strumenti di indagine su tutti questi aspetti per pervenire, sulla base degli accertamenti normativi e fattuali compiuti, ad adottare risoluzioni vincolanti nei confronti del governo.

b) Sviluppo sostenibile e Protocollo di Kyoto

La sfida del riscaldamento globale appare decisiva, proprio perché comporta, per essere vinta, l'accantonamento di tecnologie, attività economiche e stili di vita che si pongono in contraddizione con l'obiettivo, di essenziale importanza per la sopravvivenza stessa dell'umanità, della drastica riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra. Da tale punto di vista il Protocollo di Kyoto, che pure è stato sostanzialmente applicato dal governo di centro-destra, costituisce uno strumento del tutto inadeguato per la timidezza degli obiettivi proposti e va pertanto migliorato e superato, nell'ottica di un'effettiva ristrutturazione ecologica dell'economia mondiale e del rilancio della solidarietà Nord-Sud .


c) Debito estero e finanza internazionale

Ultimo, ma non meno importante, il problema del debito estero, che costituisce oggi più che mai un grave ostacolo allo sviluppo e alla realizzazione dei diritti umani delle popolazioni dei Paesi indebitati . Vanno ripresi alcuni spunti interessanti contenuti nella legge 209 del 2000, a partire dalla promozione dell'adozione di una risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite che chieda un parere consultivo alla Corte internazionale di giustizia sul tema. Tale parere infatti potrà costituire la necessaria cornice giuridica per la soluzione del problema .

9. Conclusioni

In conclusione, la politica estera di un governo italiano che si ponga nella necessaria rottura di continuità con l'attuale sconfortante subalternità e tendenza al declino politico, civile, sociale, economico e culturale, dovrà partire da tre elementi di fondo:

a) rispetto e realizzazione del diritto internazionale;

b) sviluppo di livelli di democrazia effettiva anche nella conduzione della politica estera;

c) proposizione e costruzione di schieramenti internazionali sui temi cruciali (pace, disarmo, finanza, sviluppo, ambiente), nella prospettiva di una vocazione davvero globale e all'altezza delle sfide del terzo millennio.


Fabio Marcelli, Francesco Martone