Nell'allegato un articolo di Giuseppe Bronzini, "L'Europa dei diritti dopo la Convenzione", che apparirà sulla rivista Multitudes.
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Sommario:
Introduzione
Un "mostrum" istituzionale, ancora da definire
Il "modello sociale europeo" tra mercato e Costituzione
Il progetto della Convenzione e i diritti socio-economici
L'EUROPA DEI DIRITTI DOPO LA CONVENZIONE
Introduzione
In un fortunato volume L. Liedentrop (1) si chiedeva: dove sono i nostri Madison? Oggi lo sappiano con certezza: non esistono i nostri Madison.
In un primo bilancio dei lavori della Convenzione si deve riconoscere che il metodo "convenzionale", da molti contestato, di preparazione della conferenza intergovernativa che inizierà il 15 Ottobre a Roma un risultato, forse non voluto, l'ha indubbiamente conseguito. Questa volta lo scontro sul futuro dell'Unione si è reso evidente di fronte all'opinione pubblica europea ed ha avuto toni così aspri e netti che il "compromesso dilatorio" raggiunto negli ultimi giorni sarà comunque instabile e oggetto di contesa tra gli opposti schieramenti. Nelle ultime settimane sono volate parole grosse, persino dopo l'accordo in extremis: il vicepresidente della Convenzione G. Amato è giunto ad augurarsi, contro la resistenza di alcuni circoli governativi nazionali all'istituzione di un solo Consiglio per tutti gli affari legislativi che "i cittadini europei, senza arrivare agli estremi dei nostri antenati francesi riescano a far capire di essere più importanti delle ( false) prerogative dei ministri di settore" (2). Anche l'influente A. Lamassoure ha affermato che a Bruxelles certo non si è mostrato niente di simile allo spirito di Filadelfia, ma allora il problema del rapporto con gli inglesi lo si era già risolto, anche se con metodi non condivisili. Il Presidente della Commissione non ha, da parte sua, esitato a etichettare il progetto iniziale di Giscard come "deludente e arretrato" e frutto di un colpo di mano e non ha mai desistito dal giudicare, (anche dopo il lifting finale), comunque insoddisfacente il risultato finale. Nonostante ciò nessuno dei leader europei se l'è sentita di rischiare veramente, di promuovere un movimento politico e di'idee per una trasformazione autenticamente federalista dell'Unione. Scontro si, ma non rottura; le elites federaliste del vecchio continente nel complesso ci consegnano questa scelta: la mancanza di una leadership politica europeista ha finito per premiare la realpolitik. E' rimasta vera l'amara constatazione di J. Habermas quando, alla vigilia della Convenzione, lamentava come la fase della riforma costituzionale cadesse comunque in un vuoto " che dovrebbe essere riempito dalla volontà politica degli attori coinvolti nel processo....gli intellettuali non si sono fatti carico del compito e ancor meno sono i politici a volersi scottare le dita con un tema poco popolare"(3).