Relazione sulla missione in Iran svolta da Tecla Faranda e Fausto Gianelli nel mese di marzo 2004.
PREMESSA:
La missione in Iran è nata nell'ambito della Carovana per la Pace che, in concomitanza con la giornata internazionale della pace dello scorso 20 marzo 2004, si è riproposta di visitare alcune aree del Medio Oriente (Iran, Kurdistan, Palestina e Irak che però non è risultato accessibile a causa del diniego di visti di accesso) ritenute particolarmente significative.
La mancanza di precedenti contatti e la presenza di un sistema poliziesco forte di controlli penetranti su ogni attività di scambio con l'estero ha reso spesso difficile lo svolgimento della missione in questo paese, che costituisce comunque un Stato di fondamentale importanza in quanto strategico sullo scenario mondiale sia per la collocazione geografica che per quella politica, oltre ad essere ricchissimo di risorse energetiche.
La società civile iraniana, nonostante il paese sia sostanzialmente isolato dal punto di vista della comunicazione con i movimenti mondiali , mostra una forte vitalità e un positivo interesse a collaborare con organizzazioni internazionali quali la nostra.
Una necessaria riservatezza, dovuta al clima repressivo e ai comprensibili timori degli interlocutori incontrati , ci ha imposto di non fare i nomi delle persone che abbiamo incontrato: giornalisti, studenti, interpreti, docenti universitari, avvocati e attivisti ONG. Possiamo invece ricordare l'ambasciatore italiano Roberto Toscano che ci ha gentilmente ricevuti il primo giorno dandoci utili informazioni e l'addetto d'ambasciata Dott. Stefano Beltrame, nonché don Franco rappresentante della Caritas italiana a Teheran,che ci ha illustrato la situazione delle comunità religiose non islamiche e le iniziative di tipo umanitario di cui si fanno portatrici le organizzazioni non governative in Iran.
1) Situazione politica generale.
Arriviamo nella difficile situazione seguita alle ultime elezioni, che hanno visto esclusi dalle liste ad opera del Comitato dei Guardiani della Rivoluzione Islamica molti candidati progressisti e in cui si è espresso un massiccio astensionismo in risposta all'appello dei 125 deputati riformatori dimessisi. A Teheran il tasso di votanti è stato molto basso, non oltre il 30 per cento e circa 15% l'appoggio ai conservatori, che nessuno vuol chiamare fondamentalisti islamici, se mai tradizionalisti, per non confonderli con il fondamentalismo islamico a livello mondiale spesso identificato con il terrorismo.
La questione della commistione tra religione e politica rimane il problema essenziale da più parti sollevato, anche se la discussione pubblica sull'argomento rimane quasi un tabù (comprensibile, perché sostenere la separazione dei poteri e la secolarizzazione dello stato è un reato perseguibile) e c'è sempre grande cautela nell'affrontarlo. Viene comunque denunciato il fatto che (probabilmente a causa di quella commistione) stentano ad essere ratificate le convenzioni internazionali, in specie sui diritti umani, mentre il Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione (composto dai sommi esponenti religiosi) mantiene il potere di abrogare leggi che vengono ritenute in contrasto con i principi islamici.
Oltre ad un penetrante controllo sul sistema giudiziario i religiosi conservatori controllano detengono il potere militare. Il Presidente Khatami non ha un rilevante potere sostanziale, e proprio durante la nostra permanenza i giornali hanno pubblicato una sua lettera in cui , lamentando tale limitatezza del suo potere, il Presidente stesso si scusava di non aver potuto fare di più ne cammino per le riforme, rifiutandosi tuttavia di dare le dimissioni, scelta del resto approvata da coloro con cui ne abbiamo parlato.
I conservatori, ora maggioritari all'interno del parlamento, paiono volersi accreditare come i soli possibili riformatori del sistema politico e sociale, a fronte delle difficoltà che Khatami e i parlamentari che allo stesso si riferiscono hanno incontrato nella realizzazione dei loro progetti proprio a causa dei numerosi ostacoli frapposti dai conservatori stessi negli ultimi anni.
Altra novità , che fino a ieri sembrava impossibile, sono le prime timide aperture nei confronti degli Stati Uniti (definiti per anni il Grande Satana, come si può leggere sui murales che circondano l' ex ambasciata americana o "nido di spie" come oggi viene chiamata, dove vennero nel 1980 tenuti in ostaggio da studenti islamici cittadini americani), evidente nell'atteggiamento nei confronti delle ispezioni internazionali relative alle armi nucleari e dalla firma del protocollo aggiuntivo. Del resto sembra che questo atteggiamento di apertura sia condiviso, secondo alcuni sondaggi tuttavia non resi pubblici, da buona parte della popolazione. C'è invece un atteggiamento fortemente avverso a Israele, che non a caso non è ancora stato riconosciuto dall'Iran: i cittadini israeliani non possono infatti entrare in Iran e anche chi ha solo un visto israeliano sul passaporto potrebbe avere difficoltà.
La Repubblica Islamica si muove su due terreni: repressione dei diritti umani e civili e gestione dell'economia che consente sia una certa distribuzione del reddito che uno stato sociale. Ma la società civile composta al 70% di giovani sotto i 30 anni e di donne estremamente attive in tutti i settori (67% della popolazione universitaria), che non ha vissuto la Rivoluzione Islamica del 1979, ed è nata durante la guerra con l'Iraq (1980-1988) pare disincantata e stanca di un sistema sostanzialmente bloccato, anche a causa della guerra stessa. Questo, unitamente al ricordo del milione di morti che la guerra ha provocato, non di rado giovanissimi, fa sì che l'atteggiamento nei confronti della occupazione statunitense dell'Iraq susciti concisi commenti relativi alla necessità che l'occupazione finisca e che gli iracheni possano decidere da soli del proprio futuro ma non molto di più. L'odio per il regime di Saddam Hussein che quella guerra ha scatenato era fortissimo, grande quindi la soddisfazione per la sua caduta.
La sovrapposizione conflittuale di poteri, di istituzioni civili e religiose (espressione a loro volta di precisi ceti economici) determina una situazione di vuoto giuridico nel quale non è chiaro cosa è permesso e cosa no. Sul piano del costume, le strade sono piene di donne che indossano soltanto un piccolo fazzoletto e uno spolverino tipo grembiule da scuola sopra abiti assolutamente occidentali e attillati, truccatissime, che guidano auto e perfino (più raro) moto. Si vedono anche donne coperte dal chador nero, ma sembra più un fatto di tradizione familiare o convinzione personale che una costrizione. Lo stesso vale in campo politico e anche sindacale: abbiamo incontrato persone incarcerate per mesi per aver scritto una lettera o un articolo, ma in Iran ci sono tantissimi giornali e riviste, la libertà d'opinione e d'espressione è sancita dalla Costituzione e ci sono molte associazioni legali. Il fatto è che l'espressione è consentita, ma a posteriori può scattare una censura di cui è difficile valutare la portata. La maggior parte dei processi finisce in niente e la gente arrestata spesso viene rilasciata senza conseguenze. Si tratta quindi di una strategia repressiva basata proprio sull'incertezza e sul timore diffuso. In ambito sindacale, ad es., l'unico sindacato legale è quello dei Lavoratori Islamici, che partecipa ad un organismo tripartito sui generis (Sindacato corporativo, Stato e Rappresentanza corporativa dell'apparato produttivo che per lo più è statale), ma i sindacati informali, che sono illegali e non possono indire scioperi né rappresentare i lavoratori il alcuna istanza, svolgono una funzione di supporto, organizzazione, difesa legale e formazione dei lavoratori che poi fanno pressione sul Sindacato legale. Quest'azione dei sindacati informali (che sono di categoria e non confederati) è conosciuta e tollerata, ma repressa duramente quando supera un limite che non è definito a priori e può spostarsi di molto a seconda delle circostanze.
2) Libertá di espressione e di stampa
La situazione della libertà di espressione e di libera manifestazione del pensiero soprattutto attraverso i mezzi di informazione di massa non è certo facile.
A partire soprattutto dall'insediamento della presidenza Khatami, vista con grande favore e che ha suscitato notevoli aspettative, la societá civile ha iniziato a far sentire la propria voce. Ciò non tanto utilizzando le televisioni, sottoposte ad un rigido controllo, ma soprattutto attraverso i giornali indipendenti. Purtroppo però negli ultimi 4 anni oltre 100 giornali sono stati chiusi, spesso in maniera del tutto illegittima ed a fronte di accuse infondate, senza però possibilitá per i loro direttori e i giornalisti che vi lavoravano di poter validamente contestare tali chiusure,
Da un punto di vista legislativo (costituzione e leggi ordinarie), la normativa vigente si presta infatti ad interpretazioni ambigue (cfr. art. 20 Costituzione Islamica Iraniana), in quanto da un lato sancisce la libertá della stampa salvo però il divieto di attività che possano essere in contrasto con le norme delle leggi islamiche e con le leggi ordinarie che determinano più specificamente tali limiti. Lo stesso accada ad es. anche in relazione ai diritti di associazione e di manifestazione, sanciti dagli artt. 26 e 27 della Costituzione Iraniana che però nei fatti non vengono garantiti a causa delle numerose leggi ordinarie che, a salvaguardia dei principi islamici fondamentali, finiscono con l'imporre notevoli limitazione. Nella lacunositá e spesso voluta indeterminatezza di tali leggi ordinarie è poi ampio lo spazio lasciato all' l'interpretazione discrezionale dei giudici che, lo ricordiamo, costituiscono uno dei settori più legati con il potere conservatore delle élites religiose conservatrici.
Ad es. un giornale è stato chiuso lo scorso febbraio per aver pubblicato una lettera di alcuni parlamentari che criticavano la suprema guida religiosa l'ayatollah Khamenei (per l'esclusione dei candidati riformisti dalle liste delle ultime elezioni parlamentari), lettera che è stata ritenuta offensiva dalla medesima guida suprema che ha quindi deliberato la chiusura del giornale che l'aveva ospitata.
Spesso poi le chiusure dei giornali avvengono attraverso l'utilizzo di una norma generale che consente di chiudere i locali ove vengano svolte attività che vedano la partecipazione di persone già condannate per reati di una certa gravità. Ciò consente, una volta che presso la redazione di un giornale presti la propria attività una persona precedentemente condannata, di deliberare la chiusura dell'intera redazione.
Per i reati commessi a mezzo stampa è prevista (nel caso che si ravvisino gli estremi della propaganda alla deconversione dall'Islam o critichi l'Islam nei suoi fondamenti) anche la pena di morte; queste condanne comunque negli ultimi anni non sono state eseguite, anche grazie alla pressione della Comunitá Internazionale.
La situazione della stampa indipendente è comunque molto vivace e sorgono in continuazione nuovi giornali, espressione della società civile più vivace e intraprendente.
3) Il rispetto dei diritti umani
Gli avvocati impegnati sul fronte della difesa dei diritti umani da noi incontrati hanno lamentato soprattutto consistenti e frequenti violazioni dei diritti fondamentali degli imputati nella fase iniziale dei procedimenti penali. In questa fase (cd. delle indagini preliminari), l'accusato non dispone di difesa legale e le indagini sono normalmente segrete.
La stessa Costituzione sancisce in verità la possibilitá per gli indagati di godere di difesa legale durante le indagini preliminari ma una legge ordinaria recentemente approvata ha attribuito al giudice ampio potere discrezionale nel concedere o meno il diritto a tale assistenza e ciò consente il verificarsi degli abusi e maltrattamenti più gravi.
La conseguente detenzione preventiva disposta in questa fase (e in cui versano a tutt'oggi circa l'80% dei detenuti c.d. "politici") si svolge spesso in regime di isolamento , con maltrattamenti ed i contatti con i familiari, solitamente preclusi durante i primi 30-60 giorni, vengono poi consentiti in misura assai ristretta (circa 20 minuti ogni 15-30 giorni).
La legge fissa in 3 mesi massimi la carcerazione preventiva, tale limite viene però spesso aggirato grazie al rinnovo della carcerazione preventiva stessa: mentre per i reati ordinari non si va comunque di solito oltre i 5/6 mesi, nel caso di accuse "politiche" si arriva fino ad un anno e talvolta anche oltre.
La tortura è una prassi illegale ma purtuttavia diffusa nelle carceri iraniane, grazie anche all'impossibilitá di essere visitati dal proprio avvocato, soprattutto durante questa fase della detenzione preventiva. Negli ultimi 4 anni (coincidenti con l'inizio della contestazione studentesca), la situazione è diventata più difficile: la gente può essere arrestata in qualsiasi momento, senza spiegazioni e senza che le famiglie ne siano informate: gli imputati finiscono spesso in isolamento, vengono picchiati e lasciati per giorni in celle di isolamento fredde e anguste.
Concluse la fase delle indagini preliminari (normalmente della durata di circa 1 anno) il processo passa al giudizio innanzi alla Corte e nel 90% dei casi l'avvocato puó studiare il caso , mentre nel 10% ció puó essergli ulteriormente precluso con vari pretesti, ad es. quando ci sono prove che devono restare segrete o non concesse in duplicazione (video, registrazioni, ecc).
Non c'è un elenco dei detenuti politici (spesso fermati anche per strada o durante le manifestazioni): ci è stato rappresentato il caso di un insegnante A. che 4 mesi fa è stato arrestato senza che la famiglia ne avesse avuto notizie e senza che l'avvocato designato abbia ancora potuto esaminare le accuse a suo carico (l'ha incontrato ora in carcere dove è stato percosso riportando 4 costole rotte, lesioni ad occhi ed alle orecchie ). La solidarietà da parte dell'opinione pubblica in questi casi è purtroppo limitata (per paura di essere a propria volta coinvolti)
Le condanne per gli oppositori politici possono andare fino alla pena di morte, ufficialmente ancora in vigore ma di fatto da tempo non più applicata. Ci sono comunque detenuti condannati a 6 anni (A.J. condannato per gli scritti in cui propugnava la secolarizzazione del potere statale), e anche a 25 anni (A. A. E.). Ci è stato inoltre segnalato il caso di 3 giornalisti membri del partito religioso nazionalista (R.A., H.S., T.R.), da oltre 9 mesi detenuti (per la maggior parte in regime di isolamento) senza la possibilitá di incontrare i loro avvocati. Uno di essi (T. R.) ha già subito 14 anni di detenzione. Contro di loro accuse per le critiche che hanno mosso al sistema di governo attuale nei loro articoli e comizi. Questi stessi arrestati ebbero a subire, durante la scorsa detenzione (nel 1998) violenze e percosse, denunciate all'Autoritá Giudiziaria dal loro avvocato, che, per questo motivo, è stato lo scorso anno a sua volta incarcerato per 4 mesi per calunnia ed e' uscito solo grazie al sostegno internazionale ed in particolare all'intervento di associazioni di giuristi francesi (in Francia da anni la Federazione per la difesa dei diritti umani si occupa attivamente della situazione Iraniana).
Numerosissime sono invece le condanne a pochi mesi di reclusione, spesso relative a condotte di minimo profilo (la sottoscrizione, per esempio, di un appello internazionale;la partecipazione ad associazioni studentesche senza fini politici espressi etc.).
Tale situazione determina un basso profilo anche nelle iniziative antirepressive portate avanti, per esempio, dalla popolazione studentesca, alla quale sono finora sconosciuti atti di protesta espliciti, organizzazioni studentesche fuori dalle strutture istituzionali e dimostrazioni pubbliche.
L'organizzazione della stessa marcia internazionale della pace - organizzata per il 20 di marzo - era pressochè sconosciuta ai nostri interlocutori.
4) La condizione femminile
La situazione delle donne nell'ambito della società iraniana è in qualche modo diversa e migliore ,soprattutto in termini di prospettive per il futuro, da quella che può apparire in Occidente,condizionata com'è l'idea che ne abbiamo dall'immagine della donna velata e confinata nelle mura domestiche cui siamo abituati a pensare.
Se è infatti ancora una realtà l'obbligo del velo - che peraltro è ammesso in varie forme, più o meno integrali - e se permangono numerosi retaggi simboli di una condizione di inferiorità della donna - come, per esempio, il valore inferiore all'uomo della metà della vita della donna ai fini della quantificazione del danno in caso di morte o lesioni personali o le maggiori limitazioni per la donna rispetto alla possibilità di divorziare - l'inserimento della donna nella vita economica e sociale del Paese e il suo contributo alla crescita del Paese sono notevoli ed unanimemente riconosciuti.
Anche una superficiale e rapida occhiata per le strade di Teheran permette di constatare che le donne si muovono con una certa disinvoltura e libertà di movimento, frequentando,anche senza compagnia maschile, locali, librerie, parchi,musei ed interpretando con particolare stile personale la "moda obbligatoria" del velo. Come in molti ci hanno confermato, nessuna donna iraniana scambierebbe la propria condizione con quella di una donna araba.
Alle donne rimangono esclusi ancora pochi campi nel lavoro e nello studio (non possono studiare ingegneria mineraria,né diventare magistrati) e l'alfabetizzazione, da una posizione di analfabetismo prima della rivoluzione intorno al 70%, ha raggiunto la quasi totalità del mondo femminile, che ormai rappresenta anche una larga maggioranza della popolazione universitaria (intorno al 67% della popolazione studentesca).
L'inserimento delle donne è ormai una realtà anche nel pur embrionale settore pubblico,anche se le donne sono principalmente impiegate nei settori tradizionali (sanità e scuola) e non raggiungono spesso posizioni dirigenziali.
Non esistono pregiudizi sociali circa l'inserimento delle donne nel mondo del lavoro,anche se la disoccupazione, in un sistema in cui la percentuale di disoccupazione è altissima, riguarda soprattutto i giovani e le donne, in modo non diverso ,del resto, dalla società occidentale.
Non esistono differenti livelli retributivi diversi per uomini e donne, anche se di fatto - ma anche questa è una realtà comune anche alle società occidentali - la media retributiva delle donne è inferiore rispetto a quella della popolazione maschile.
Come è noto anche a livello internazionale, le intellettuali iraniane in posizioni di rilievo (professioniste, letterate, giornaliste)sono numerose e generalmente apprezzate anche nel loro Paese che mostra di ritenerle, come è emerso in molti degli incontri cui abbiamo partecipato, il più affidabile motore dello sviluppo sociale della società iraniana.
Sintomi positivi dell'evoluzione della coscienza femminile sono anche le numerose riviste femminili diffuse in Iran, soprattutto nelle classi colte ed a reddito elevato, che si occupano, con relativa libertà nell'ambito del rispetto generale dei precetti islamici, dei problemi delle donne.
Anche sotto questo aspetto,tuttavia, le pubblicazioni devono fare i conti con quell'inafferrabile linea di confine tra il lecito e l'illecito che può cambiare da un momento all'altro e che rappresenta la particolarità più evidente del modello iraniano di repressione culturale e sociale.
L'attuale classe al potere deve fare i conti con questa realtà anche se, per limitare i danni, cerca di deviare le numerose istanze in questo senso verso il problema del velo che, pur rappresentando il simbolo più evidente della apparente sottomissione della donna, non è però forse il problema più sentito dalle giovani generazioni che aspirano ad una società più libera e integrata per tutti,uomini e donne.
Unanimemente ci è stato confermato che le cose però stanno cambiando e che la situazione, anche per quanto riguarda il divorzio e l'aborto (attualmente non ammesso se non per motivi sanitari,ma largamente tollerato e punito solo occasionalmente e poco severamente con sanzioni pecuniarie), è piuttosto fluida.
5) Il sistema economico e il mercato del lavoro
Lo sviluppo economico e sociale del Paese è principalmente condizionato dal tipo di economia e dai rapporti economici attuali.
Da una parte infatti l'industria e il sistema privato in Iran non esistono e l'economia ruota esclusivamente intorno al petrolio,nonostante le prospettive di sviluppo - soprattutto per quanto riguarda i trasporti e le telecomunicazioni - di un Paese con oltre 70 milioni di abitanti per il 70% sotto i 30 anni siano davvero enormi; sviluppo che è ,tuttavia ,allo stato pregiudicato dall'embargo americano e dalla posizione di isolamento internazionale.
D'altra parte, le risorse notevoli del Paese,date dal petrolio, sono e sono sempre state dirottate verso i settori tradizionalmente legati agli ayatollah, che sono circa 400.000 in tutto il Paese, e cioè principalmente verso il commercio ,in un generale sistema di corrutela e nepotismo.
Questo ha determinato non solo il mancato sviluppo del settore privato,ma anche la sostanziale assenza di una struttura pubblica.
I servizi sociali in Iran continuano ad essere gestiti soprattutto su base corporativa e su iniziativa di gruppi di solidarietà,anche religiosi e non solo mussulmani, che hanno supplito all'inesistenza di un impegno statale in questo senso.
In particolare, numerose sono le ONG presenti in Iran,tutte debitamente registrate, ed anche la Caritas ed altri enti religiosi sono autorizzate ad operare nel campo dell'assistenza, purchè non svolgano attività di proselitismo .
Sotto questo profilo, le attività di soccorso prestate da associazioni e gruppi della società civile in occasione del recente terremoto di Bam,che ha provocato decine di migliaia di morti, sono state anche una risposta importante delle forze alternative al potere ad un diffuso malcontento popolare verso il sistema politico e la classe dirigente che,contro i precetti coranici, non ha saputo far fronte all'emergenza e prestare la necessaria solidarietà e l'aiuto doveroso alla popolazione colpita dal disastro e,non a caso, molte delle persone con le quali abbiamo parlato si sono occupate degli aiuti e ce ne hanno segnalato l'importanza.
Nella latitanza del settore pubblico le attuali e imprescindibili linee di tendenza del sistema sono verso la privatizzazione dell'economia,ma i problemi principali in questo senso sono rappresentati dalla sostanziale inesistenza del privato, che andrebbe creato ex novo ,e le resistenze della classe al potere che teme di perdere i suoi privilegi.
Anche la classe lavoratrice,del resto, rappresenta timori in questo senso,determinati dall'incertezza economica che la privatizzazione porterebbe ad una popolazione della quale il 35% vive sotto la soglia di povertà assoluta, pur non essendo tutti i "poveri" disoccupati.
La popolazione attiva è impegnata al 40-45% nei sevizi (commercio) e al 15-18% nel settore agro-alimentare.
Il tasso di disoccupazione ufficiale è determinato al 16%,ma può essere stimato intorno al 22% calcolando la disoccupazione di studenti e casalinghe di fatto alla ricerca di lavoro; il tasso di inflazione è intorno al 20-22%,mentre l'incremento salariale recentemente accordato su base tripartita (governo, sindacato islamico,associazione islamica datoriale) è stato del 15%.
Il mercato del lavoro ha poi assorbito circa un milione di profughi afgani che sono stati integrati nella società iraniana e destinati ai lavori più umili.
Non esistono minimi salariali, ma il salario minimo mensile ai fini contributivi è di 840.000 RIAL (circa € 80). Il reddito medio pro-capite è calcolato,ma non si tratta di stime ufficiali riferiteci in occasione degli incontri, in RIAL 350.000 mensili (circa € 30).
Le stime ONU considerano invece un reddito annuo pro- capite di $ 160 annui che esclude l'Iran dai Paesi "target" ai fini degli aiuti.
La copertura previdenziale è praticamente inesistente,come pure il sistema fiscale.
Vi è una quasi totale libertà di licenziamento sotto i 5 dipendenti: realtà che rappresenta la maggioranza dei posti di lavoro.
6) Rapporti con le associazioni di Giuristi.
Per quanto concerne i rapporti con organizzazioni di avvocati e di difesa dei diritti umani, esiste una neo costituita ONG (tra le fondatrici lo stesso premio nobel Shirine Ebadi e l'Avv. Abdolfatah Soltani) "Il Centro per la difesa dei diritti umani", che segue fra l'altro gratuitamente i detenuti che non hanno mezzi adeguati. Questa organizzazione è un caso purtroppo unico, che sta comunque cercando di allargare il suo campo d'azione confidando di raccogliere consenso fra molti avvocati (gli avvocati nel solo distretto di Theran sono ca. 4.000), e già conta un'adeguata presenza femminile. Questa associazione ha rapporto con la F.I.D.H. e l'I.B.A. (International Bar Association) e appare un interlocutore interessante anche per la nostra associazione e per l'IAED.
Il Centro sottolinea l'esigenza di una riforma sia sul piano legislativo (per assicurare il rispetto dei dati dei detenuti politici, delle donne, dei bambini e delle minoranze religiose) sia un monitoraggio da parte di ONG sul rispetto dei diritti umani e l'assistenza legale; mentre lamenta come i governi occidentali negozino con Iran unicamente questioni economiche e politiche a seconda del tornaconto affaristico , senza intervenire per assicurare il rispetto dei diritti umani (maggior fiducia viene pertanto riposta negli Stati non coinvolti economicamente con l'Iran e nelle associazioni non governative). C'è molto interesse per una attività di sostegno internazionale, soprattutto viene data molta importanza al ruolo della pressione dell'opinione pubblica per sostenere il percorso riformatore e democratizzatore e c'è molta speranza nel ruolo delle società civili nel mondo. In questo senso è ritenuto molto utile il premio Nobel dato a Shirine Ebadi proprio per il rilievo posto alla questione dei diritti umani.
Gli avvocati da noi contattati si sono dichiarati interessati e disponibili ad un rapporto di scambio informazioni e sostegno con altre associazioni di giuristi e, quindi, si prospetta la possibilità di una proficua collaborazione anche con la nostra associazione
Milano-Modena, 28 Aprile 2004
Fausto Gianelli
Tecla M. Faranda