Osservazioni sul disegno di legge n. 733/S.
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1. Per una normativa sull’immigrazione giusta ed efficace
Le linee-guida della normativa in tema di immigrazione delineata dal disegno di legge n, 733/S (i cui contenuti saranno di seguito esaminati nei loro aspetti più significativi) risultano univocamente orientate ad una politica del rifiuto dell’immigrazione - dell’immigrazione tout court e non solo dell’immigrazione irregolare - e possono essere così sintetizzate:
a) un’ulteriore, drastica esasperazione delle torsioni delle garanzie costituzionali della persona che già derivano, nella legislazione vigente, dal diritto speciale preordinato alla gestione dell’immigrazione irregolare: a previsioni destinate ad incidere pesantemente sulle libertà fondamentali del migrante si affiancano innovazioni del tutto inutili sul piano della razionalità finalistica e gravemente in tensione con princìpi essenziali dell’ordinamento, quali l’incriminazione della condizione del migrante irregolare, l’abnorme dilatazione della detenzione amministrativa e l’ennesima stretta sui reati previsti dal testo unico sull’immigrazione risultano;
b) l’abbandono delle logica binaria che, almeno sulla carta, ha ispirato le politiche del diritto in materia di immigrazione: a politiche di estremo rigore nel trattamento degli stranieri irregolari si sono finora contrapposte, nella definizione dello status degli stranieri regolari, politiche di integrazione che, in realtà, sono state declinate in modo da configurare comunque la posizione giuridica di questi ultimi alla stregua di ospiti in prova perpetua. Rispetto a questo assetto, il disegno di legge n. 733/S esprime, attraverso opzioni normative fatte e mancate, una logica di rifiuto dell’immigrazione (anche di quella regolare): da un lato, è prevista l’introduzione di istituti destinati ad aumentare gli ostacoli enormi che il migrante regolare già incontra nella conservazione dei titoli abilitativi del soggiorno; dall’altro, si registra un ulteriore peggioramento della disciplina - già estremamente restrittiva - della cittadinanza e la totale assenza di iniziativa su terreni individuati da più parti come essenziali a promuovere un’effettiva integrazione (ad es., il riconoscimento di diritti politici degli stranieri regolarmente residenti).
Se approvato, il disegno di legge allontanerà ulteriormente la disciplina dell’immigrazione dal profilo di una normativa giusta ed efficace: l’approccio discriminatorio che ispira le principali innovazioni e il drastico indebolimento delle prospettive reali di integrazione dei migranti non porteranno alcun giovamento alla sicurezza pubblica, che può essere perseguita solo con la piena adesione al principio personalistico posto dalla Costituzione repubblicana a base delle garanzie fondamentali dell’individuo e attraverso la promozione di politiche del diritto della convivenza e non dell’esclusione.
2. L’incriminazione della condizione del migrante irregolare: un reato inutile e ingiusto.
Nel testo licenziato dalle Commissioni Affari costituzionali e Giustizia del Senato, il disegno di legge configura come reato l’ingresso e il soggiorno illegale dello straniero nel territorio dello Stato: l’art. 10-bis di cui è previsto l’inserimento nel t.u. imm. (D.Lgs. n. 286 del 1998), punisce, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con l’ammenda da 5 a 10 mila euro «lo straniero che fa ingresso, ovvero si trattiene nel territorio dello Stato» in violazione delle disposizioni di cui al testo unico e di quelle ex art. 1, L. n. 68 del 2007 (in tema di disciplina dei soggiorni di breve durata). Il procedimento relativo a tale reato - che il legislatore sembrerebbe intenzionato ad affidare, nella fase del giudizio, al giudice di pace, secondo quanto può ipotizzarsi sulla base di un oscuro riferimento al D.Lgs. n. 274 del 2002 - è sospeso nel caso di presentazione di una domanda di protezione internazionale ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007.
La pena stabilita per il nuovo reato è solo pecuniaria, ma, con una previsione del tutto irragionevole, è precluso il ricorso all’oblazione di cui all’art. 162 cod. pen. Inoltre, attraverso una modifica dell’art. 16, comma 1, t.u. imm., è prevista l’espulsione come sanzione sostitutiva applicabile dal giudice penale, un’espulsione questa che verrebbe a sovrapporsi perfettamente all’espulsione come misura amministrativa; è poi prevista espressamente la pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere per il reato in esame a seguito dell’esecuzione dell’espulsione o del respingimento ex art. 10, comma 2, t.u.imm.. Per l’espulsione amministrativa, d’altra parte, il disegno di legge esclude, con riferimento al nuovo reato, l’applicabilità della disciplina del nulla osta dell’autorità giudiziaria procedente, così creando per essa una corsia preferenziale che, al di là di qualsiasi considerazione sul piano della compatibilità con i princìpi di indipendenza della giurisdizione e con quelli del giusto processo, rende ancora più irrazionale la sovrapposizione tra la misura di polizia e la nuova incriminazione.
La disciplina della contravvenzione di «ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato», infatti, ne mette in luce l’assoluta inutilità: per un verso, la sfera applicativa della nuova figura di reato coincide perfettamente con l’area dei casi per i quali è prevista l’espulsione amministrativa; per altro verso, l’espulsione rappresenta il vero obiettivo della normativa, come è dimostrato dalla disciplina del nulla osta e della sentenza di non luogo a procedere e dalla stessa - ulteriore - previsione dell’espulsione come sanzione sostitutiva della pena pecuniaria (non oblazionabile) comminata per il nuovo reato. L’inutilità della norma incriminatrice delineata dal disegno di legge, a sua volta, ne rivela l’irrazionalità nella dimensione finalistica, con la quale devono comunque misurarsi le opzioni di politica criminale della legislazione, e, allo stesso tempo, l’incompatibilità, per così dire, confessata con il principio di extrema ratio della sanzione penale.
D’altra parte, così come l’aggravante dell’irregolarità introdotta da qualche mese (e già oggetto di eccezioni di illegittimità costituzionale), la previsione del reato di «ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato» fa leva su una sorta di presunzione di pericolosità dello straniero irregolare che è già stata confutata dalla Corte costituzionale.
Pronunciandosi sulla legittimità del trattamento sanzionatorio previsto dall’art. 14, comma 5-ter t.u.imm. dopo le modifiche apportate dalla legge n. 271 del 2004, la Corte, con la sentenza n. 22 del 2007, ha descritto il reato di ingiustificata inottemperanza all’ordine di allontanamento del questore come una «fattispecie che prescinde da una accertata o presunta pericolosità dei soggetti responsabili». Ora, se deve escludersi una presunzione di pericolosità per l’autore del delitto punito dalla norma citata (che, va sottolineato, presuppone l’inosservanza di un provvedimento legittimamente dato dalla competente autorità amministrativa), a maggior ragione deve escludersi una presunzione del genere per lo straniero che si trova in una posizione di mera presenza «illegale», ossia non qualificata dall’inottemperanza all’ordine di polizia.
La presunzione di pericolosità dello straniero irregolare è stata inoltre smentita dalla sentenza della Corte costituzionale n. 78 del 2007 che ha dichiarato l’illegittimità delle norme dell’ordinamento penitenziario sulle misure alternative alla detenzione ove interpretate nel senso che allo straniero non comunitario entrato illegalmente nel territorio dello Stato o privo del permesso di soggiorno sia in ogni caso precluso l’accesso alle misure stesse. Secondo la Consulta, l’interpretazione contraria a quella costituzionalmente imposta «si risolve nella radicale esclusione dalle misure alternative alla detenzione di un’intera categoria di soggetti, individuata sulla base di un indice - la qualità di cittadino extracomunitario presente irregolarmente sul territorio dello Stato - privo di univoco significato rispetto ai valori rilevanti ai fini considerati»: la preclusione alla concessione delle misure alternative alla detenzione risulta infatti «collegata in modo automatico ad una condizione soggettiva - il mancato possesso di un titolo abilitativo alla permanenza nel territorio dello Stato - che, di per sé, non è univocamente sintomatica né di una particolare pericolosità sociale, incompatibile con il perseguimento di un percorso rieducativo attraverso qualsiasi misura alternativa, né della sicura assenza di un collegamento col territorio, che impedisca la proficua applicazione della misura medesima».
Svincolati da qualsiasi ragionevole valutazione di pericolosità, l’ingresso o la presenza illegale del singolo straniero non rappresentano, di per sé, fatti lesivi di beni meritevoli di tutela penale, ma sono l’espressione di una condizione individuale, la condizione di migrante. La criminalizzazione di tale condizione risponde dunque ad una logica - quella del diritto penale d’autore - del tutto incompatibile con il volto costituzionale dell’illecito penale e, prima di tutto, con il principio di eguaglianza, il cui nucleo forte vieta distinzioni normative ratione subiecti, ossia fondate su qualità meramente soggettive.
3. Un’abnorme dilatazione della detenzione amministrativa.
Non minore allarme suscita la ridefinizione della durata del trattenimento dei migranti irregolari nei «centri di identificazione ed espulsione», una durata che il disegno di legge n. 733 vorrebbe prolungare fino a diciotto mesi. Il drastico prolungamento della durata massima del trattenimento il disegno di legge è in linea con quanto previsto dalla recente direttiva europea sul rimpatrio di stranieri irregolari (Direttiva 2008/115/CEE), direttiva che peraltro attribuisce rilievo centrale al rimpatrio volontario: il disegno di legge accoglie l’impostazione segregazionistica della direttiva in merito alla durata della detenzione amministrativa, ma non adegua ad essa l’assetto generale dell’allontanamento e, in particolare, non presenta analoga valorizzazione del rimpatrio volontario. Ma indipendentemente da ciò, l’abnorme dilatazione della detenzione amministrativa dovrà essere valutata alla luce dei princìpi fondamentali sanciti dalla Costituzione, nonché dalle fonti sovranazionali richiamate dalla stessa direttiva europea (la Convenzione O.N.U. sui diritti del fanciullo, la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea).
Già con riferimento alla disciplina vigente è stato denunciato come la detenzione amministrativa rappresenti una manifestazione di coercizione della libertà personale largamente discrezionale nei suoi presupposti applicativi, sottratta ad un effettivo controllo giurisdizionale (per di più affidato, dal 2004, non al giudice togato, ma al giudice di pace) e del tutto sproporzionata rispetto al provvedimento di espulsione alla cui esecuzione è finalizzata. Nella versione delineata dal disegno di legge, il trattenimento, per l’abnorme dilatazione della sua durata (fino a un anno e mezzo) e per la valenza sostanzialmente punitiva che verrebbe ad assumere, esaspererebbe i profili critici della detenzione amministrativa, incidendo sulla libertà personale del migrante in forme che l’ordinamento processual-penalistico prevede solo per le misure custodiali applicate in relazione alle più gravi categorie di delitti.
Alle pesanti torsioni delle garanzie fondamentali dell’individuo prodotte dalla disciplina delle espulsioni incentrata sul trattenimento deve poi aggiungersi una considerazione critica sulla sua efficacia. La relazione della Commissione De Mistura istituita nella scorsa legislatura dal Ministro dell’interno ha messo in luce, infatti, «una correlazione dell’efficacia degli allontanamenti con fattori slegati dall’applicazione della misura del trattenimento», giungendo così ad una valutazione complessiva secondo cui «è la casualità a determinare i trattenimenti nonché i conseguenti accompagnamenti alla frontiera»: è un giudizio questo che dovrebbe risultare sufficiente a segnalare la distanza della disciplina dell’espulsione da un approccio alle questioni dell’immigrazione che - oltre ad essere in linea con i princìpi fondamentali del nostro ordinamento - aspiri alla razionalità.
4. L’ennesima stretta sui reati del testo unico sull’immigrazione (favoreggiamento delle migrazioni illegali e ingiustificata inottemperanza all’ordine di allontanamento del questore) e sui diritti fondamentali del migrante irregolare.
Il disegno di legge n. 733 prevede ancora l’ennesima stretta sui reati di favoreggiamento delle migrazioni illegali (art. 12 t.u.imm.) e di ingiustificata inottemperanza all’ordine di allontanamento del questore (art. 14 t.u.imm.).
Quanto ai primi, il disegno di legge prevede, nell’ambito di una generale ridefinizione delle diverse figure di reato e delle varie circostanze aggravanti, l’incriminazione della condotta di chi effettui il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato: si tratta di una condotta pacificamente rientrante nella sfera incriminatrice delle norme già oggi in vigore, norme che escludono sempre la punibilità dei migranti. Il riferimento alla condotta di trasporto degli stranieri corre il rischio di essere interpretata nel senso di estendere la sfera applicativa dei reati di favoreggiamento delle migrazioni illegali anche al migrante che provveda al trasporto di altri migranti (ad esempio, guidando l’imbarcazione nell’ultimo braccio di mare prima dello sbarco sulle coste italiane), un’estensione in netto contrasto con la normativa sovanazionale di riferimento di tali reati, ossia il Protocollo addizionale contro il traffico dei migranti (firmato a Palermo il 12 dicembre 2000 insieme con la Convenzione delle Nazioni unite contro il crimine organizzato transnazionale e ratificati con la legge n. 146 del 2006).
Per quanto riguarda i reati di cui all’art. 14 t.u.imm., il disegno di legge si caratterizza, oltre che per il ritorno alla generalità della previsione dell’arresto obbligatorio in flagranza per tutti i reati di ingiustificata inottemperanza dell’ordine di allontanamento del questore, per l’evidente elusione del severo monito che, con la sentenza n. 22/2007, la Corte costituzionale ha rivolto al legislatore: pur ritenendo inammissibile la questione relativa al trattamento sanzionatorio previsto per la fattispecie delittuosa, la Consulta ha rilevato che «il quadro normativo in materia di sanzioni penali per l'illecito ingresso o trattenimento di stranieri nel territorio nazionale, risultante dalle modificazioni che si sono succedute negli ultimi anni, anche per interventi legislativi successivi a pronunce di questa Corte, presenta squilibri, sproporzioni e disarmonie, tali da rendere problematica la verifica di compatibilità con i principi costituzionali di uguaglianza e di proporzionalità della pena e con la finalità rieducativa della stessa». Di qui «l’opportunità di un sollecito intervento del legislatore, volto ad eliminare gli squilibri, le sproporzioni e le disarmonie prima evidenziate», squilibri, sproporzioni e disarmonie che il disegno di legge n. 733 non solo non supera, ma anzi aggrava.
Anche fuori dalle norme penali, la stretta sulla condizione del migrante irregolare solleva gravi perplessità, soprattutto con riferimento all’osservanza del principio costituzionale di eguaglianza e del principio di non discriminazione affermato da numerose fonti internazionali (quali l’art. 14 CEDU).
In particolare, il disegno di legge prevede l’obbligo di presentazione del permesso di soggiorno per lo straniero che intenda sposarsi in Italia: è di tutta evidenza come da tale obbligo discenda una grave discriminazione per lo straniero irregolare, ossia la negazione della libertà di matrimonio. D’altra parte, un segno analogo caratterizza la prevista subordinazione dell’iscrizione anagrafica alla verifica delle condizioni degli alloggi, previsione (che peraltro riguarderebbe non solo gli stranieri irregolari, ma anche quelli regolari e anche i cittadini) destinata a tradursi nella negazione, per la fasce più deboli della società, del godimento di tutti quei diritti che presuppongono appunto l’iscrizione anagrafica.
Grave allarme suscita infine la proposta, avanzata in alcuni emendamenti al testo del d.d.l. n. 733 licenziato dalle Commissioni parlamentari (nn. 39.305 e 39.306), di modificare l'art. 35 t.u.imm. abrogando il comma 5 (che esclude la segnalazione all’autorità dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno che si rivolge alle strutture sanitarie) o modificando in senso restrittivo il comma 4. Se accolte, le proposte allontanerebbero i migranti irregolari della cure sanitarie, in evidente tensione con il carattere universale e fondamentale del diritto alla salute e con effetti pregiudizievoli per la salute pubblica.
5. Nuovi ostacoli all’immigrazione regolare.
Una normativa giusta ed efficace dell’immigrazione dovrebbe caratterizzarsi, innanzi tutto, per la profonda revisione della disciplina degli ingressi oggi vigente, una disciplina basata sull’assurda - e largamente ineffettiva - pretesa dell’incontro a distanza, ossia a livello planetario, tra domanda e offerta di lavoro. Le politiche del diritto avviate in questa legislatura non muovono alcun passo in questa direzione, ma al contrario, attraverso il decreto legislativo n. 160 del 2008, recante modifiche e integrazioni al d.lgs. n. 5/2007, hanno previsto ulteriori restrizioni al ricongiungimento familiare, un istituto che, consentendo il dispiegarsi della catena migratoria, rappresenta da sempre un efficace strumento di integrazione dei migranti nelle società di destinazione.
La disciplina del soggiorno richiederebbe poi l’introduzione di meccanismi permanenti di regolarizzazione individuale fondati sul decorso del tempo e su determinati indici di integrazione: meccanismi del genere incoraggerebbero l'assunzione da parte dei migranti irregolari di comportamenti virtuosi e assicurerebbero la possibilità di riassorbire quote di irregolarità, così contribuendo, per un verso, al contrasto delle economie sommerse e, per altro verso, a razionalizzare la gestione dell’irregolarità stessa. Ancora, la normativa relativa ai titoli di soggiorno dovrebbe attribuire al migrante una ragionevole prospettiva di stabilizzazione, il che dovrebbe comportare la ridefinizione complessiva dei requisiti per il rinnovo dei vari permessi di soggiorno e il superamento di quella sorta di divieto di disoccupazione che determina - soprattutto nell’attuale congiuntura economica - conseguenze drammatiche su persone che hanno già avviato un proficuo percorso di integrazione nella società italiana.
Anche su questo terreno, le indicazioni del disegno di legge risultano del tutto carenti ed anzi foriere di nuovi ostacoli all’immigrazione regolare: si pensi alla vessatoria tassazione di varie istanze amministrative dei migranti e all’introduzione di sensibili restrizioni alla disciplina della cittadinanza (già oggi caratterizzata soprattutto dalla prevalenza dello ius sanguinis e dalla natura “concessoria” della naturalizzazione); di contro nessun passo si muove nella direzione, pure da più parti auspicata, del riconoscimento di diritti politici degli stranieri regolarmente residenti da un significativo periodo di tempo.
Il disegno di legge prevede inoltre l’introduzione di un accordo di integrazione quale condizione per la titolarità del permesso di soggiorno: l’accordo sarebbe articolato per crediti, legati a specifici obiettivi di integrazione da conseguire nel periodo di validità del permesso, e la perdita integrale dei crediti determinerebbe la revoca del titolo abilitativo e l’espulsione del migrante. La previsione rimette integralmente ad un regolamento governativo la compiuta definizione dei contenuti dell’accordo e dei poteri della pubblica amministrazione (il che suscita perplessità sul piano del rispetto della riserva di legge ex art. 10, comma 2, Cost.), ma, anche nella scarna disposizione del disegno di legge, traduce una visione dell’integrazione come esclusiva proiezione della volontà e dei comportamenti del singolo migrante, obliterando in toto compiti e doveri non solo delle pubbliche amministrazioni, ma, più in generale, della sfera pubblica. Non accompagnato da alcuna prospettiva di rafforzamento delle misure di «integrazione sociale», per riprendere l’espressione utilizzata dal titolo quinto del t.u.imm., l’accordo di integrazione è inevitabilmente destinato ad esasperare quella amministrativizzazione e quella precarizzazione della condizione giuridica del migrante del migrante che già caratterizzano la disciplina vigente.
gennaio 2009
Associazione Antigone
Associazione nazionale giuristi democratici
Associazione studi giuridici sull’immigrazione
Magistratura democratica