Roberto Lamacchia commenta il decreto legge 181/2007 sulla misure di allontanamento dei cittadini comunitari.
Credo che l’emanazione del D.L. 1/11/2007 n. 181 sia la prova provata di un modo errato di legiferare, fondato non sull’approfondimento dei temi sui quali intervenire ma esclusivamente sull’intenzione di compiacere un’opinione pubblica sconvolta da episodi di cronaca.
Il Governo, cioè, ha operato come se vi fosse uno stato di necessità dovuto all’urgenza di contrastare la criminalità, principalmente rumena.
Ora, non si comprende bene in base a quale argomentazione sia stata ritenuta presente l’urgenza, trattandosi di una circostanza, l’entrata della Romania nell’Unione Europea con l’immaginabile, conseguente, flusso migratorio, che era ben nota ai vari stati della UE, al punto che alcuni di essi, come la Francia, aveva realizzato accordi bilaterali con la Romania, prima dell’ingresso di quest’ultima nella UE, proprio per prevenire conseguenze pericolose.
Ed il fatto è ancora più grave se si pensa che, in questo caso, l’intervento è stato effettuato in una materia, quale quella dell’immigrazione, che coinvolge profili di libertà della persona, rispetto alla quale questo Governo aveva preannunciato un ben diverso atteggiamento.
Vorrei ricordare in proposito come, nel famoso programma dell’Unione, si dicesse: “il Governo di centro-destra, operando in una logica emergenziale e di breve periodo … ha prodotto tensioni tanto superflue quanto deleterie. Ha poi lanciato iniziative in contrasto con le norme internazionale e in violazione dei diritti umani dei migranti. Infine ha inasprito le tensioni con i partners europei.”.
Ed ancora “l’adozione di queste norme comporta il superamento dei centri di permanenza temporanea” ed infine “la legge Bossi-Fini ha reso più difficile il processo di integrazione dei cittadini stranieri, assorbendo la materia dell’immigrazione in quella dell’ordine pubblico.”.
Dunque, sembrava che il nuovo Governo, sulla scorta di quanto affermato nel programma delle Forze Politiche che lo costituiscono si sarebbe mosso in un’ottica esattamente opposta a quella seguita dal Governo di Centro-Destra.
I risultati, ahimè, sono quelli che vediamo.
Prima di entrare, però, nell’esame specifico della nuova normativa, occorre ricordare quali sono i cardini legislativi già in vigore.
Sin dall’aprile 2004 era stata emanata la Direttiva 2004/58/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio d’Europa relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.
Detta Direttiva è stata ratificata dallo Stato italiano solo con il D.L. 6/02/2007 n. 30.
Nel frattempo, altri Paesi Europei erano entrati nell’Unione Europea, ed in particolare, per la rilevanza che la cosa che ha avuto in quest’ultimo periodo, la Romania.
Non va dimenticato, poi, che la Carta di Nizza, che è stata inserita tout court nel Trattato Costituzionale Europeo in fase di definitiva approvazione, sancisce all’art. 105, parte II, che “ogni cittadino dell’Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri”; ovviamente, si tratta di un principio generalissimo, non ancora in vigore, pur se molte sentenze della Corte di Giustizia hanno già recepito le disposizioni della Carta di Nizza, ritenendole già parte integrante del sistema giuridico europeo.
In questa situazione, si è inserita l’iniziativa del Governo che ha predisposto 4 disegni di legge relativi rispettivamente alle misure legislative per la sicurezza, alla creazione di una banca dati del DNA, a disposizioni di materia di sicurezza urbana ed a disposizioni in tema di reati di grave allarme sociale.
Tutto ciò già stava a dimostrare la particolare attenzione che il Governo riservava al problema della sicurezza che, però, veniva visto soprattutto in chiave repressiva.
Si dice ciò non per contestare la rilevanza del problema sicurezza; la sicurezza è questione che interessa ogni cittadino, sia esso di destra o di sinistra, ed è giusto che ogni Governo, che sia esso di Centro-destra o di centro-sinistra, se ne faccia carico.
Ma ciò che deve essere attentamente studiato è il modo di attuazione della sicurezza: mai, a mio giudizio, la ricerca della sicurezza può andare a scapito dei diritti dell’uomo.
Occorre, cioè, interrogarsi se e quale prezzo, in termini di tutela dei diritti, possa essere pagato (ma solo da una parte dei cittadini) per garantire una più serena convivenza civile (alla restante parte della collettività).
Il grave fatto di cronaca verificatosi a Roma con l’uccisione di una giovane donna da parte di un cittadino rumeno ha determinato un’accelerazione sul tema da parte del Governo che ha, così, deciso di passare dal disegno di legge al Decreto Legge ed ancora, ha deciso di appesantire le disposizioni già in quello contenute.
Così, il disegno di legge in materia di sicurezza urbana, che già prevedeva norme più pesanti rispetto a quelle già contenute nel Decreto Legislativo 30/2007, si è arricchito di ulteriori aspetti limitativi delle libertà fondamentali dell’uomo che lo rendono affetto da profondi motivi di incostituzionalità e di violazione della normativa europea ancora più di quanto già non fosse per il disegno di legge.
Ma almeno il disegno di legge avrebbe dovuto essere oggetto di disamina da parte del Parlamento, con la possibilità, dunque, di modifiche, anche profonde!
Viceversa, il Decreto Legge è entrato in vigore immediatamente, senza che nemmeno le Forze dell’Ordine, i Prefetti e i Questori che dovevano applicarlo, ne fossero in precedenza a conoscenza.
A tutto ciò si deve poi aggiungere l’assoluta imprecisione della produzione normativa che ne è derivata, che consente interpretazioni sulla portata del Decreto Legge addirittura devastanti, se solo si pensa che il Decreto Legge è stato visto come modo per espulsioni di massa di cittadini, con particolare riferimento a quelli rumeni, al punto che Fini ha parlato della possibilità, ed anche necessità, di 250.000 espulsioni, come unico modo per ridare un po’ di sollievo alla nostra società.
Ecco, basterebbe questo, cioè avere adottato uno strumento che consente interpretazioni devastanti come quello che ho sopra ricordato, per fare capire la follia di un simile provvedimento.
E si comprende, allora, l’affanno con cui il Ministro Amato è dovuto intervenire per cercare di attenuare la potenziale portata dirompente del Decreto affermando che esso sarà applicato solo nei casi più gravi; che i Prefetti sono già stati istruiti in tal senso, tanto è vero che i casi di espulsione sono stati pochissimi, in questi giorni; anche la precisazione che il Governo è disponibile per una modifica del Decreto Legge, nel senso di determinare la competenza in tema di convalida della misura di espulsione di cui parlerò in seguito, al Giudice Monocratico invece che al Giudice di Pace, è determinata dalla consapevolezza, finalmente acquisita di avere troppo frettolosamente affrontato un tema così delicato.
Venendo, ora, al contenuto del Decreto Legge n. 181/07 esso apporta modifiche ed aggiunte al predetto D.Lgs. n. 30/07 agli artt. 20, 21, 22 ed aggiunge l’art. 20 bis.
Come vedremo, vi sono aggiunte poco comprensibili, come la sostituzione della dizione “motivi di ordine pubblico” con quella “motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza”, contenuta nel titolo dell’art. 20 “limitazione al diritto di ingresso e di soggiorno”, sulla quale gli esegeti si interrogano per comprendere la ragione di una simile modifica che appare terminologica, ma che potrebbe nascondere qualche rischio interpretativo
Al comma 5, viene poi introdotto il concetto dei “motivi imperativi di pubblica sicurezza, che costituiscono motivo per l’allontanamento anche dei cittadini dell’Unione che abbiano soggiornato nei 10 anni precedenti nel territorio nazionale.”, concetto sul quale tornerò in seguito.
Vengono poi inseriti i commi 7 bis e 7 ter in tema di allontanamento per motivi di pubblica sicurezza e per motivi imperativi di pubblica sicurezza; viene inserito come detto l’art. 20 bis relativo all’allontanamento del cittadino dell’Unione o di un suo familiare sottoposto a procedimento penale ed infine viene inserito all’art. 21 il comma 2 bis in tema di allontanamento del cittadino dell’Unione per cessazione delle ragioni che ne consentivano il soggiorno.
Tirando le prime somme da quanto ho detto, occorre rilevare come la disciplina degli allontanamenti risultante dal combinato disposto del D.Lgs. n. 30/07 e del D.L. n. 181/07 comprenda, sostanzialmente, 4 tipi di ipotesi:
l’allontanamento per motivi attinenti la sicurezza dello Stato;
per motivi di ordine pubblico;
per motivi di pubblica sicurezza;
per motivi imperativi di pubblica sicurezza.
I provvedimenti di allontanamento dal territorio nazionale per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, nonché quelli concernenti i cittadini dell’Unione soggiornanti da oltre 10 anni in Italia, oppure minorenni, sono adottati dal Ministro dell’Interno con provvedimento motivato, salvo che vi ostino motivi attinenti alla sicurezza dello Stato.
L’allontanamento dal territorio nazionale per motivi di pubblica sicurezza è adottato, invece, dal Prefetto; anche qui l’atto deve essere motivato ed è soggetto ad impugnazione.
Qualora i motivi di pubblica sicurezza siano considerati imperativi, il provvedimento emesso dal Prefetto è immediatamente eseguito dal Questore e si applicano le disposizioni dell’art. 13 comma 5bis del T.U. sull’immigrazione 286/98 che prevede l’obbligo di convalida dell’allontanamento da parte del Giudice di Pace entro 96 ore dalla sua adozione: nell’attesa della convalida, dunque, il cittadino comunitario sarà trattenuto al C.P.T.!
Infine, è previsto il caso dell’allontanamento del cittadino comunitario che abbia perso le condizioni che determinano il diritto di soggiorno, vale a dire la capacità economica di mantenersi; anche in questo caso il provvedimento è assunto dal Prefetto con atto motivato impugnabile e, non essendo possibile prevedere per quel soggetto il divieto di reingresso in Italia, si è studiata una formula che trasforma il mancato adempimento all’allontanamento in reato; infatti, il soggetto da allontanare riceve anche un’attestazione dell’obbligo di adempimento all’allontanamento che dovrà presentare al consolato italiano del suo paese; se, poi, il soggetto sarà individuato sul territorio nazionale senza aver provveduto alla presentazione dell’attestazione, sarà punito con l’arresto da 1 a 6 mesi.
Chiarita, così, la tipologia delle ipotesi di allontanamento dal territorio italiano, si può passare ad esaminare i dubbi di costituzionalità e di rispondenza alle direttive comunitarie presenti nel Decreto Legge.
La prima osservazione attiene all’introduzione dei motivi imperativi di pubblica sicurezza; si tratta di una dizione la cui genericità appare assolutamente lampante; è vero che il comma 7 ter tenta una definizione di quali siano i motivi di pubblica sicurezza imperativi, ma la dizione utilizzata è ugualmente generica, in quanto li individua in “comportamenti che compromettono la tutela della dignità umana o dei diritti fondamentali della persona umana ovvero l’incolumità pubblica, rendendo la permanenza sul territorio nazionale incompatibile con l’ordinaria convivenza.”
Si tratta, dunque, di motivi che appaiono del tutto discrezionali, se non arbitrari, nella loro identificazione e che per tale ragione appaiono in evidente contrasto con l’art. 13, comma 3, della nostra Costituzione che prevede l’adozione di provvedimenti limitativi della libertà personale in casi eccezionali indicati tassativamente dalla legge. Peraltro, anche i motivi di sicurezza pubblica sono così generici da poter essere riempiti di qualsiasi contenuto e ciò, evidentemente, è ancora maggiormente enfatizzato nel caso di motivi imperativi di pubblica sicurezza.
Si aggiunga che il cittadino comunitario allontanato che rientri sul territorio nazionale in violazione del divieto di reingresso è punito con reclusione fino a 3 anni, mentre secondo il D.Lgs. 30/2007 la pena era quella dell’arresto da 3 mesi ad 1 anno; si tratta di un aggravamento della pena che appare del tutto irragionevole.
Un secondo punto che appare ictu oculi criticabile è la presenza nel Decreto Legge di norme che equiparano la posizione del cittadino comunitario con quella del cittadino extracomunitario, in palese violazione dei principi di cui alla Carta di Nizza.
Anzi, in determinati casi, il cittadino extracomunitario appare trattato meglio del cittadino comunitario, come nel caso dell’espulsione per pericolosità sociale di cui all’art. 13 comma 2, lettera c) D.Lgs. 286/98 che è ancorata a criteri corrispondenti a quelli delle leggi in materia di misure di prevenzione: nel nostro caso, invece, i criteri per determinare quando sia messa in pericolo l’ordinaria convivenza sono lasciati alla piena discrezionalità del Prefetto.
Clamoroso, poi, appare il riferimento ai comportamenti tenuti dal familiare del soggetto da allontanare: infatti l’art. 20 comma 7 ter recita “I motivi di pubblica sicurezza sono imperativi quando il cittadino dell’Unione o un suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, abbia tenuto comportamenti …”.
Si tratta, a tutta evidenza, di norma emessa in palese violazione del principio di personalità della responsabilità, colpendo con la misura dell’allontanamento un soggetto per fatti attribuibili ad altro soggetto, legato al primo solo da rapporto di famiglia.
Tra l’altro, una simile norma consentirebbe l’espulsione di tutto un nucleo familiare per la responsabilità di un singolo individuo, creando, così, le condizioni per un’applicazione di massa del decreto.
Altro punto assolutamente criticabile del decreto legge appare l’attribuzione al Giudice di Pace della competenza a decidere sulla convalida dei provvedimenti di allontanamento nel caso di motivi imperativi di pubblica sicurezza con immediata esecuzione da parte del Questore.
La natura delle competenze del Giudice di Pace, sia pure oggi estese alla materia penale, non prevede la possibilità di irrogazione di sanzioni che comportino un potere coercitivo del condannato; nel caso in esame, invece, il Giudice di Pace interviene sul cittadino comunitario trattenuto presso il C.P.T. convalidandone l’espulsione dal Territorio Nazionale.
Ciò appare francamente irragionevole e contrario, come detto, all’impostazione che pareva essere propria di questo Governo che, nel progetto di riforma, restituiva alla magistratura ordinaria la cognizione sulla convalida giurisdizionale per gli stranieri, sottraendola al Giudice di Pace.
Si è già detto, poi, che il cittadino comunitario allontanato a sensi dell’art. 20 del Decreto Legge che rientri nel Territorio Nazionale in violazione del divieto di reingresso, che non può essere superiore a 3 anni, è punito con la reclusione fino a 3 anni, ma è anche nuovamente ed immediatamente allontanato con accompagnamento disposto dal Questore.
Però, a differenza del caso previsto dal comma 7 bis per il provvedimento di allontanamento, per il quale è prevista la fase della convalida, nel caso di reingresso non vi è alcun controllo giurisdizionale e, dunque, si configura una ipotesi di privazione della libertà personale di un soggetto in capo all’Autorità di Pubblica sicurezza che appare in aperto contrasto con la già ricordata disposizione di cui all’art. 13 comma 3 Costituzione che testualmente recita “In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente della legge, l’Autorità di Pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro 48 ore all’Autorità Giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive 48 ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto”.
Ora, appare evidente come, nel caso in esame, il provvedimento di restrizione della libertà del soggetto rientrato in Italia contro il divieto già sancito appare non rispondere ai criteri richiesti dall’art. 13 comma 3 Costituzione, non essendovi nemmeno l’Autorità Giudiziaria cui il provvedimento dovrebbe essere presentato per la sua convalida.
In definitiva, si tratta di produzione normativa inaccettabile sotto un profilo sia etico che costituzionale, trattato con provvedimento d’urgenza privo di quei caratteri richiesti dalla nostra Costituzione, frutto dell’onda emozionale sollevata dagli episodi di cronaca, stilato in maniera approssimativa e generica, tanto da consentire possibili interpretazioni ed applicazioni di natura chiaramente discriminatoria e razzista.
Per di più, salvo voler dare del Decreto Legge un’interpretazione ancora più forcaiola, si tratta di una normativa che, probabilmente e fortunatamente, non consentirà di fare molto di più di quanto già non fosse consentito dal Decreto Legislativo 30/2007 e, dunque, l’allontanamento di pochi singoli e magari con qualche pseudo-motivazione.
Ma questi presunti vantaggi giustificano, forse, il sacrificio di principi di diritto così importanti?
Il fenomeno migratorio, invece, meritava e merita un trattamento tutt’affatto diverso, così come l’Unione aveva stabilito nel suo programma elettorale, che deve avere come obiettivo il pieno rispetto della dignità umana e del principio di responsabilità individuale di ogni cittadino, pure in presenza di esigenze di rafforzamento della sicurezza sociale.
Torino, 14 novembre 2007
Avv. Roberto Lamacchia