Finalmente annullata la controversa ordinanza del comune di Rovato (BS) che, al fine di salvaguardare i valori cristiani, aveva disposto "il divieto ai non professanti la religione cristiana di accedere ai luoghi sacri e di culto della predetta religione", disponendo, altresì, "l'istituzione di un'area di protezione e di sicurezza pari a mt. 15 lineari intorno ai luoghi sacri e di religione cristiani".
L'ordinanza è stata impugnata con ricorso straordinario al Capo dello Stato da parte di un avvocato facente parte dei Giuristi Democratici, agente in proprio a tutela del proprio interesse di libero cittadino non professante la religione cristiana di poter circolare liberamente entro il territorio nazionale.
Pubblichiamo a seguire il testo integrale del parere espresso dal Consiglio di Stato sez. I^ sulla scorta del quale il Presidente della Repubblica ha, in data 25/02/2003, annullato l'ordinanza in questione per le interessanti osservazioni sulla laicità dello Stato e il divieto di ogni discriminazione per motivi religiosi.
Consiglio di stato - Adunanza della Sezione Prima, 15 Maggio 2002, N. Sezione 1207/2002.
OGGETTO: Gianelli Fausto c/ comune di Rovato. Ricorso straordinario avverso ordinanza avente ad oggetto tutela area sicurezza divieto accesso a luoghi sacri.
Vista la relazione n. 15115-01^/003 del 27 marzo 2002 prevenuta in data 9 aprile 2002 con la quale il Ministero dell'interno - Dipartimento per gli affari interni e territoriali - chiede il parere del Consiglio di Stato sul ricorso straordinario in oggetto;
ESAMINATI gli atti e udito il relatore estensore Cons. Livia Barberio Corsetti;
PREMESSO
Riferisce l'Amministrazione che il sig. Fausto Gianelli, residente in Pavullo nel Frignano (MO), ha impugnato, chiedendone l'annullamento al Presidente della Repubblica, l'ordinanza n. 86 del 21 novembre 2000 con cui il sindaco del comune di Rovato (BS), premessa "la necessità di salvaguardare i valori cristiani dalla incessante contaminazione di altre religioni e visto che altri vietano l'ingresso in determinate aree ai non appartenenti ad una specifica religione", ha disposto "il divieto ai non professanti la religione cristiana di accedere ai luoghi sacri e di culto della predetta religione, in regime di reciprocità ed in attuazione di protezione della morale giustificato dall'interesse pubblico", disponendo, altresì, "l'istituzione di un'area di protezione e di sicurezza pari a mt. 15 lineari intorno ai luoghi sacri e di religione cristiani".
Il ricorrente, che dichiara di procedere i virtù del proprio interesse di libero cittadino non professante la religione cristiana di circolare liberamente entro il territorio nazionale, sostiene che la predetta ordinanza viola gli articoli 3, 8 e 19 della Costituzione, che prevedono, in particolare, l'uguaglianza di tutti i cittadini, senza discriminazioni, tra l'altro, di "religione", e la libertà di circolazione su tutto il territorio nazionale e il principio della laicità dello Stato italiano, affermato dall'ultimo Concordato. Aggiunge che il provvedimento è carente di motivazione o apporta una motivazione illogica ed incongrua e che è privo di pregio il richiamo a presunti e non meglio specificati criteri di reciprocità.
A seguito della prescritta istruttoria effettuata da questo Ministero l'Ufficio Territoriale del Governo di Brescia, facendo presente che l'ordinanza in questione era stata era stata fatta oggetto anche di richiesta di annullamento governativo ai sensi dell'art. 138 del d. legs. N. 267/2000, ha inviato, tra l'altro, anche la nota in data 8 gennaio 2001 con cui il Sindaco di Rovato in risposta ad una pregressa nota della Prefettura ha fornito alcuni chiarimenti in merito.
In particolare, il Sindaco di Rovato ha sostenuto che: 1) l'ordinanza non è in contrasto con la libertà religiosa; 2) il senso del provvedimento è da ricercarsi nel principio che "la libertà di ognuno finisce dove va a ledere la libertà altrui"; 3) il principio di reciprocità è dettato dal fatto che nei paesi integralisti islamici è proibito accedere ai luoghi di culto se non con speciali permessi; 4)sia la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e sia l'art. 16 della Costituzione italiana prevedono la possibilità di limitare la circolazione per motivi di sanità, sicurezza, moralità; ed è in questo spirito, cioè per salvaguardare l'incolumità pubblica, che è stata adottata l'ordinanza ai sensi dell'art. 54 del Testo unico degli EE. LL.
Inoltre il Sindaco, in riferimento anche ad un esposto in merito, ha sostenuto che la mancata indicazione dei metodi di intervento per garantire il rispetto dell'ordinanza è dovuto al fatto che la legge ha eliminato la possibilità di sanzionare le trasgressioni ai regolamenti comunali ed alle ordinanze sindacali.
L'Amministrazione riferente ritiene il provvedimento illegittimo sotto il profilo della violazione dell'articolo 54 del d.legs. n. 267/2000, che al comma 1 affida al Sindaco quale ufficiale del Governo "c) lo svolgimento in materia di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria, delle funzioni affidategli dalla legge; d) la vigilanza su tutto quanto interessa la sicurezza e l'ordine pubblico, informandone il prefetto" e al comma 2 stabilisce che il "sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta con atto motivato e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico, provvedimenti contingibili e urgenti al fine di prevenire ed eliminare gravi percoli che minacciano l'incolumità dei cittadini; per l'esecuzione dei relativi ordini può richiedere al prefetto, ove accorda, l'assistenza, della forza pubblica".
Il Sindaco con la propria nota di chiarimenti specifica che l'ordinanza in oggetto sarebbe stata adottata per motivi attinenti alla salvaguardia dell'incolumità pubblica (comma 2 dell'art. 54 del d.legs. n. 267/2000); ma dal tenore dell'ordinanza si rileva che il provvedimento presenta le caratteristiche di atto in materia di pubblica sicurezza in quanto rivolto solo ad una categoria di persone presenti sul territorio nazionale individuabili esclusivamente a seguito di ipotetici accertamenti (seppur vietati dall'ordinamento) di polizia.
Peraltro, la possibilità di adottare atti amministrativi in materia di rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose è sottratta espressamente agli enti locali dalla legge 15 marzo 1997, n. 59 ( art.1, comma 3) che ha delegato il Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle religioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa.
Dopo aver richiamato il quadro costituzionale invocato dal ricorrente, l'amministrazione osserva che l'ordinanza include genericamente tutti i luoghi di culto cristiani e d è finalizzata ad una "speciale tutela" della Chiesa Cattolica, non più ammissibile alla luce della legge n. 121 del 25 marzo 1985 con la quale è stato recepito il trattato di riforma del Concordato, che nel protocollo addizionale al predetto trattato chiarisce, tra l'altro, che "Si considera non più in vigore il principio, originariamente richiamato dai Patti lateranensi, dalle religione cattolica come sola religione dello Stato italiano".
Tutta la giurisprudenza seguita al trattato di revisione concordataria afferma il principio dell'aconfessionabilità dello Stato e di divieto di adozione di provvedimenti che possano favorire determinati credi religiosi a discapito di altri.
La Corte Costituzionale con sentenza n. 203/1989 ha chiarito che "Le disposizioni del Concordato, pur godendo della particolare copertura costituzionale fornita dall'art. 7, ben possono essere soggette al sindacato della Corte ove sia denunciato il loro contrasto con i principi supremi dell'ordinamento costituzionale. In particolare, nelle specie, gli art. 3 e 19 Cost. vengono in evidenza come valori di libertà religiosa specificando il duplice divieto che i cittadini siano discriminati per motivi di religione e che il pluralismo religioso limiti la libertà negativa di non professare alcuna religione. Tali valori inoltre concorrono con altri (art.7, 8 e 20 Cost.) a strutturare il principio supremo della laicità dello Stato - uno dei profili della forma di Stato delineata dalla Costituzione - che ha la sua enunciazione nell'art. 1 del Protocollo addizionale. Cfr. Sentenze nn. 30/1971; 12/1972; 175/1973; 1/1977; 18/1982; 1170/1984; 1146/1988. - cfr. O. n. 914/1988".
Inoltre sempre la Corte Costituzionale con sentenza 8 ottobre 1996, n. 334, ha dichiarato costituzionalmente illegittimi, per violazione degli art. 2, 3 e 19 della Costituzione, l'art. 238 comma 2 c.p.c., limitatamente alle parole "davanti a Dio e agli uomini" e l'art. 238 comma 1, seconda proposizione, c.p.c. (giuramento), limitatamente alle parole "religiose e ", in quanto - posto che gli art. 2, 3 e 19 cost. garantiscono come diritto la libertà di coscienza in relazione all'esperienza religiosa, tale diritto, sotto il profilo giuridico - costituzionale, rappresenta un aspetto della dignità della persona umana, riconosciuta e dichiarata inviolabile dall'art. 2, e "spetta ugualmente tanto ai credenti quanto ai non credenti, siano essi atei o agnostici, e comporta la conseguenza, valida nei confronti degli uni e degli altri, che in nessun caso il compimento di atti apparenti, nella loro essenza, alla sfera della religione possa essere l'oggetto di prescrizioni derivanti dall'ordinamento giuridico dello Stato che non può ricorrere a obbligazioni di ordine religioso per rafforzare l'efficacia dei propri precetti".
La Corte Costituzionale ha successivamente rafforzato il concetto di laicità dello Stato affermando, con sentenza 14 novembre 1997, n. 329, che nella visione costituzionale attuale, "la ratio differenziatrice - che ispirò il legislatore del 1930 (la questione trattata era relativa alla differenza di trattamento del reato di vilipendio prevista dall'art. 404 c.p. nei confronti della religione cattolica rispetto a quella stabilita per le altre religioni dall'art. 406 c.p.) con il riconoscimento alla Chiesa e alle religioni cattoliche di valore politico, quale fattore di unità morale della nazione - non vale più oggi, quando la Costituzione esclude che la religione possa considerarsi strumentalmente rispetto alle finalità dello Stato e viceversa; ciò sia perché, in attuazione del principio costituzionale della laicità e non confessionalità dello Stato - che non significa indifferenza di fronte all'esperienza religiosa, ma comporta equidistanza e imparzialità della legislazione rispetto a tutte le confessioni religiose - la protezione del sentimento religioso è venuta ad assumere il significato di un corollario del diritto costituzionale di libertà di religione, corollario che, naturalmente, deve abbracciare allo stesso modo l'esperienza religiosa di tutti coloro che la vivono, nella sua dimensione individuale e comunitaria, indipendentemente dai diversi contenuti di fede delle diverse confessioni; sia perché il richiamo alla cosiddetta coscienza sociale - quale criterio di giustificazione di differenze tra confessioni religiose operate dalle legge - se può valere come argomento di apprezzamento delle scelte del legislatore sotto il profilo della loro ragionevolezza, è viceversa vietato laddove la Costituzione, nell'art. 3 comma 1, stabilisce espressamente il divieto di discipline differenziate in base a determinati elementi distintivi, nei quali sta per l'appunto la religione, in tal modo intendendo che la protezione del sentimento religioso, quale aspetto del diritto costituzionale di libertà religiosa, non è divisibile.
Premesso, pertanto che l'ordinamento impone parità di trattamento delle religioni senza alcuna ingerenza dello Stato (e di tutte le pubbliche amministrazioni), l'ordinanza del Sindaco di Rovato, oltre ad essere illegittima per violazione anche del disposto di cui all'art. 1 comma 3 della legge n. 59/1997, potrebbe essere violativa proprio del concordato con la Santa Sede sottoscritto dal Governo nell'anno 1929, laddove all'art. 1, parte 4, si prevede che "L'Italia, ai sensi dell'art. 1 del trattato, assicura alla Chiesa cattolica il libero esercizio del potere spirituale, il libero e pubblico esercizio del culto, nonché della sua giurisdizione in materia ecclesiastica in conformità alle norme del presente concordato; ove occorra, accorda agli ecclesiastici per gli atti del loro ministero spirituale la difesa da parte delle sue autorità".
Vietando ad una categoria di persone, di fatto, l'ingresso e sinanche la possibilità di approssimarsi ai luoghi di culto, l'ordinanza rappresenta un'indebita ingerenza nel libero esercizio del potere spirituale accordato alla Chiesa i cui intenti non possono essere conosciuti o interpretati arbitrariamente dal sindaco del Comune di Rovato, il quale, si rammenta, può intervenire mediante ordinanza solo per salvaguardare l'incolumità pubblica.
Affermato, dunque che il provvedimento in oggetto è limitativo della libertà individuale costituzionalmente protetta, in ogni caso, anche se lo spirito ultimo dell'ordinanza del sindaco potrebbe ricercarsi nella volontà di prevenire atti criminosi, in mancanza di un reale pericolo immediato, i provvedimenti di prevenzione non possono comunque spingersi fino a vietare il transito a determinate categorie di persone nelle adiacenze dei luoghi di culto, anche per l'impossibilità oggettiva di procedere al loro riconoscimento in basa alla religione professata.
Inoltre è indiscutibile che il sindaco di Rovato abbia utilizzato in maniera non conforme a legge e lo strumento dell'ordinanza i cui effetti sono caratterizzati dalla provissorietà, mirando, invece a consolidare una situazione la cui disciplina, si ribadisce è sottratta alla potestà dell'autorità locale.
Peraltro, il riferimento ai paesi integralisti islamici effettuato dal Sindaco di Rovato con la propria nota ci controdeduzioni dell'8 gennaio 2001, potrebbe condurre a sillogismi inaccettabili (arabo uguale a musulmano) già dichiarati illegittimi da parte della Corte Costituzionale quando ha escluso che un soggetto, per il solo fatto di essere ebreo sia considerato fare parte della comunità israelitica (sentenza n. 239/1984).
Ciò stante, evidenziata l'illegittimità dell'ordinanza impugnata, nel caso particolare, eventuali azioni di danneggiamento degli stessi luoghi di culto o il vilipendio che offre il codice penale senza impedire la libera circolazione dei cittadini o degli stranieri che, garantita dall'art. 16 della Costituzione, può essere limitata solo per motivi di sanità o di sicurezza.
Per le suesposte motivazioni il ricorso dovrebbe essere accolto.
CONSIDERATO
Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
Osserva la Sezione che il ricorrente, in quanto cittadino italiano, ha un interesse immediato, concreto e attuale alla rimozione di un atto che influisce sulla sua possibilità di movimento sul territorio nazionale, ovvero che condiziona tale libertà ad accertamenti di natura personale, quali la fede religiosa, che non può costituire presupposto di trattamenti differenziati.
In effetti il provvedimento impugnato è un provvedimento abnorme, che travalica il potere attribuito al sindaco dal d. legs. 267/2000, il quale, a norma dell'art. 54, "quale ufficiale del Governo, adotta, con atto motivato e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico, provvedimenti contingibili e urgenti al fine di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini". Nel caso di specie, infatti, non risulta dall'ordinanza l'esistenza di nessun pericolo concreto dell'incolumità dei cittadini, non potendosi considerare tale la paventata contaminazione di altre religioni.
Il provvedimento, inoltre, lungi dal rispettarli, viola i principi generali dell'ordinamento giuridico richiamati sia nel ricorso che nella relazione dell'amministrazione relativi al divieto di discriminazione religiosa (art. 3), all'euguaglianza delle confessioni religiose (art. 8), alla libertà di esercizio e di propaganda della fede religiosa (art. 19), alla libertà di circolazione su tutto il territorio italiano e al diritto di libera circolazione sul territorio europeo.
In particolare si deve sottolineare che il divieto di discriminazione religiosa comporta che nessun effetto nell'ordinamento giuridico può prodursi in dipendenza della professione di fede, la quale resta un fatto personale tutelato dall'ordinamento e privo di riflessi giuridici. In altri termini, la religione non è uno dei fatti ai quali un provvedimento amministrativo può ricollegare effetti, restando l'ordinamento del tutto indifferente rispetto alle credenze religiose dei propri cittadini o residenti. E ciò vale sia per lo Stato che, a maggior ragione, per qualsiasi esercente pubbliche funzioni.
Come esattamente rilevato nella relazione, il provvedimento lede anche le prerogative di libertà nell'esercizio del potere spirituale garantito dalla Costituzione a tutte le Chiese, cristiane o meno, le quali possono decidere autonomamente come gestire i propri rapporti con le altre fedi.
Infine, v'è da dire che il tema della reciprocità è del tutto fuor di luogo. La libertà religiosa rientra tra i principi fondamentali inattaccabili perfino dalle leggi statali, ivi comprese quelle di ratifica dei trattati internazionali. Non potrebbe pertanto mai darsi una clausola di reciprocità che nel nostro ordinamento recepisse una discriminazione avente per presupposto l'appartenenza ad una religione. E' pertanto palesemente assurdo che un sindaco si arroghi un potere che nemmeno lo Stato potrebbe esercitare.
Dalle considerazioni che precedono discende che il ricorso deve essere accolto.
P.Q.M.
Esprime che il parere deve essere accolto.
Per estratto dal verbale
Il Segretario dell'Adunanza (Virginia Funaro)
Visto Il Presidente della Sezione (Salvatore Giacchetti)
Il Presidente della Repubblica
VISTO il ricorso presentato in via straordinaria dal Sig. Gianelli Fausto avverso e per l'annullamento dell'ordinanza n. 86 del 21 novembre 2000 con la quale il Sindaco di Rovato (BS) dispone "il divieto ai non professanti la religione cristiana di accedere ai luoghi sacri e di culto della predetta religione, in regime di reciprocità ed in attuazione di protezione della morale giustificato dall'interesse pubblico", e disponendo, altresì, "l'istituzione di una area di protezione e sicurezza pari a mt. 15 lineari intorno ai luoghi sacri e di religione cristiana";
VISTO il Testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, approvato con R.D. 26 giugno 1924, n. 1054 e successive modificazioni;
VISTO il regolamento per l'esecuzione della legge sul Consiglio di Stato, approvato con R.D. 21aprile 1942, n. 444;
VISTO il D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, recante norme per la semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi amministrativi;
UDITO il parere espresso dal Consiglio di Stato, Sezione Prima, nell'adunanza 15.05.2002, il cui testo è allegato al presente decreto e le cui considerazioni si intendono, qui, integralmente riprodotte;
Sulla proposta del Ministero dell'interno;
DECRETA
Il ricorso di cui alle premesse è accolto.
Dato a ROMA ADDI' 25 FEBBRAIO 2003