DOCUMENTO UNITARIO SULLA RIFORMA
DEL PROCESSO CIVILE sottoscritta da AIGA - ANF - Camera Civile - Osservatorio romano sulla Giustiza - MD - GD - Cittadinanzattiva e inviato il 15 dicembre 2005 a tutti i parlamentari delle Commisioni Giustizia di Camera e Senato.
DOCUMENTO UNITARIO SULLA RIFORMA
DEL PROCESSO CIVILE
Il 12 maggio 2005, al termine di un iter parlamentare certamente anomalo, è stato approvato il testo della riforma del codice di procedura civile.
Con la legge n. 80 del 2005, che pure presenta importanti e positive innovazioni in materia di procedimento esecutivo, di procedimento cautelare ed una significativa modernizzazione in tema di notifiche, si sono realizzate una serie di scelte errate in tema di processo di cognizione, creando una preoccupante ambiguità nella impostazione di fondo del processo e mettendo a rischio il sistema di garanzie e di parità tra i soggetti processuali sancito dalla Costituzione.
Questo intervento legislativo si inserisce in un quadro contrassegnato dalla introduzione di forme di composizione extraprocessuale dei conflitti, caratterizzate dalla tendenziale emarginazione, sia della garanzia costituita dall'intervento di un giudice terzo, sia della funzione di tutela dei diritti, istituzionalmente demandata agli avvocati.
Per altro verso si riduce ulteriormente il potere direttivo del giudice all'interno del processo.
Il diffuso dissenso che la riforma ha raccolto nel mondo del diritto, e il modo stesso in cui è stata frettolosamente realizzata, denunciano una inammissibile frattura tra il legislatore e gli operatori del diritto.
L'A.I.G.A., l'A.N.F., la Camera Civile e l'Osservatorio Romano sulla Giustizia Civile, che nelle loro rispettive identità sono portatori di un patrimonio di idee e battaglie culturali sulla giustizia in generale e su quella civile in particolare, e che in questi anni hanno dato voce alle istanze non solo degli operatori ma anche dei cittadini nel difficile percorso verso l'efficienza e l'adeguatezza del sistema giudiziario, ritengono sia indispensabile adottare alcuni correttivi prima che la riforma del processo ordinario di cognizione disegnata dalla l. n. 80 del 2005 entri in vigore.
La nuova legge, infatti, provoca una inutile contrazione del diritto di difesa, rendendo ancor più rigoroso il regime delle decadenze e delle preclusioni soprattutto per il convenuto. Essa, ancora una volta, esaurisce ogni intervento destinato all'accelerazione dei processi nella mera fissazione di termini ordinatori sempre più ristretti per il compimento delle attività del giudice, termini che possono essere rispettati soltanto nei casi, invero assai rari, in cui il ruolo contenzioso di ciascun giudice abbia dimensioni contenute.
Si risolve in una contrazione del diritto di difesa anche la norma che costringe ciascuna parte a formulare le proprie istanze istruttorie prima di conoscere le precisazioni e le modificazioni delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni delle altre parti. Non ha senso costringere ogni avvocato ad immaginare tutto quello che l'avversario potrebbe dire ed a proporre mezzi istruttori contro le solo ipotizzabili altrui deduzioni. Non aiuta certo la celerità del processo costringere ogni avvocato a svolgere difese ed articolare mezzi istruttori che il più delle volte finiranno con il rivelarsi assolutamente inutili.
L'obbligo imposto al giudice di pronunciare fuori udienza i provvedimenti riguardanti le istanze istruttorie formulate dalle parti che chiedono la concessione dei termini previsti dal nuovo articolo 183 c.p.c. si pone in aperta contraddizione con il riaffermato principio dell'oralità della trattazione della causa.
L'assenza di una norma che consenta, se opportuno, di fissare un'udienza immediatamente successiva alla definizione del thema decidendum, impedisce al giudice diligente di indicare preventivamente alle parti i fatti rilevanti, al fine di circoscrivere le richieste istruttorie. Si rischia, così, di non raccogliere il frutto più prezioso del principio dell'oralità: ridurre al minimo le probabilità che il necessario rispetto delle norme processuali impedisca la giusta affermazione del diritto sostanziale.
È difficile credere che chi ha previsto la riserva obbligatoria sulle istanze istruttorie formulate nei termini concessi ai sensi dell'art. 183 c.p.c. conosca lo stato, vicino al collasso, delle cancellerie di molti tribunali, ed abbia riflettutto sull'imponente aggravio di lavoro che tale nuovo meccanismo comporta. Aggravio di lavoro che diverrebbe assolutamente insostenibile se in una parte anche minima dei processi le parti dovessero scegliere di applicare il "rito societario", come è consentito dall'art. 70 ter delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, introducendo un ingestibile "doppio binario" processuale per cause con lo stesso oggetto.
È per questi motivi che le sezioni di Roma dell'A.I.G.A., dell'A.N.F., della Camera Civile e l'Osservatorio romano sulla giustizia civile
CHIEDONO CHE
senza ripristinare l'udienza ex art. 180 c.p.c. e rendendo esplicito il principio secondo cui la suddivisione del processo in fasi successive, funzionali anche al formarsi delle preclusioni, non debba tradursi in un'automatica suddivisione del processo in varie udienze successive:
1) venga di nuovo introdotta l'obbligatorietà dell'interrogatorio libero delle parti e del tentativo obbligatorio di conciliazione;
2) venga ripristinata la scansione temporale (per fasi processuali e non per udienze) che vedeva prima la determinazione del thema decidendum, poi la definizione del thema probandum ed infine l'articolazione dei mezzi istruttori;
3) venga eliminata la riserva obbligatoria, eventualmente prevedendo che, in caso di concessione di termini alle parti per l'articolazione dei mezzi istruttori, il giudice sia obbligato a provvedere in udienza;
4) venga abrogato l'art. 70 ter delle disp. att. al cod. proc. civ.
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