Pubblichiamo l'appello sottoscritto da numerosi esperti perchè non venga approvata la riforma delle pene in tema di reati fallimentari che è prevista nelle legge di conversione del decreto legge 35/05.
All'appello ha aderito anche l'Associazioen Nazionale dei Giuristi Democratici.
Avendo appreso che la Commissione Bilancio del Senato, in sede di conversione del cd. decreto legge sulla competitività n. 35/2005, ha inserito nel testo in esame un emendamento che prevede, nell'ambito della delega al Governo per la riforma dei reati fallimentari, la riduzione della pena massima edittale per la bancarotta fraudolenta impropria da dieci a quattro anni, esprimiamo la più viva e ferma preoccupazione per una scelta di politica criminale che, se confermata, avrebbe effetti gravissimi sui processi penali in corso e sull'efficacia preventiva del sistema penale in questo delicato settore.
La riduzione appare totalmente ingiustificata, sia in termini assoluti, perché la pena prevista non esprime l'effettivo disvalore dei fatti incriminati, sia in relazione alla circostanza che per i corrispondenti fatti di bancarotta dell'imprenditore individuale, è prevista una pena massima più elevata (anni sei), non potendosi certamente ritenere che il fatto di bancarotta dell'imprenditore individuale esprima un più grave disvalore penale del fatto realizzato, tra l'altro su un patrimonio che non gli appartiene, dal suo institore o dall'amministratore, dal direttore generale, dal sindaco, dal liquidatore di una società.
Il risultato si presenta irragionevole sotto il profilo della coerenza sistematica, con riferimento al diverso grado di offensività dei fatti rispetto al bene protetto, perché equipara nei limiti di pena la bancarotta fraudolenta al falso in bilancio in una società quotata, anche nell'ipotesi in cui questo, pur avendo causato un danno, non sia connesso ad una situazione di dissesto, e la punisce meno gravemente ad esempio di un furto in azienda o di un reato tributario.
La prevista modifica del trattamento sanzionatorio comporterà (salvi gli effetti delle circostanze aggravanti speciali e l'ulteriore diminuzione nell'ipotesi di approvazione della riforma della disciplina della prescrizione) una riduzione dei termini massimi di prescrizione da quindici a cinque anni, con aumento a sette anni e mezzo nel caso di atti interruttivi. Con questi termini è certo che la quasi totalità dei processi penali attualmente pendenti, anche per fatti di bancarotta di estrema gravità, si concluderà con la dichiarazione di prescrizione e che ciò accadrà anche in futuro, tenuto conto della notevole complessità delle indagini e degli accertamenti dibattimentali che normalmente richiede questo tipo di reati e dei tempi comunque occorrenti per lo svolgimento di tre gradi di giudizio: difficilmente potrà dunque essere evitata la prescrizione con conseguente vanificazione dell'effettività della previsione della sanzione penale.
La scelta appare ancor più irragionevole se si considera che un'efficace risposta penalistica è l'unico strumento idoneo a contrastare il fenomeno della bancarotte fraudolente, essendo fatto notorio che gli autori di questi reati non risultano quasi mai concretamente aggredibili sotto il profilo patrimoniale.
D'altro canto risulta incomprensibile che si voglia optare per questa scelta dopo il verificarsi dissesti societari che hanno coinvolto decine di migliaia di azionisti e risparmiatori, dando quindi ad essi una risposta specularmente opposta a quella adottata in altri paesi interessati da analoghe vicende.
Non si può infine non rilevare come, in un'epoca in cui è posta la massima attenzione alla competitività internazionale anche sotto il profilo dell'efficienza dei sistemi giuridici, in particolare con riferimento alla tutela del credito, una "depenalizzazione di fatto" della bancarotta fraudolenta impropria arrecherebbe grave pregiudizio alla affidabilità del sistema ordinamentale italiano, oltre che innescare ulteriori fattori anticoncorrenziali in danno delle imprese
gestite con trasparenza.
Auspichiamo pertanto un'approfondita rimeditazione nella sede parlamentare (la imminente conversione in legge del d.l. 35/05) per le scelte che si vanno determinando nella materia del diritto penale fallimentare.