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 Pene, sanzioni, rieducazione - Desi Bruno

Pubblicato da Redazione 15-01-2007 09:01
:: Giustizia
 

Pubblichiamo la sintesi della relazione tenuta il 21 ottobre 2006 da Desi Bruno al convegno "Democrazia, diritti e giustizia al tempo dell'Unione"

PENE, SANZIONI, RIEDUCAZIONE

Una riflessione sui temi della pena e della sanzione oggi non può prescindere dal considerare che è intervenuto, di recente, il tanto discusso provvedimento di indulto, non accompagnato, come nei precedenti, dalla previsione di amnistia per i reati minori, e che ha previsto per un numero rilevante di reati , anche gravissimi,come l'omicidio, una riduzione di pena nella misura di anni tre della pena inflitta.
Il provvedimento , votato con la maggioranza qualificata richiesta dall'art. 79 Cost. modificato, ha provocato, e continua a provocare, polemiche e critiche nei confronti di quello che viene considerato essere un inaccettabile attacco al principio della certezza della pena, invocato come unico argine al dilagare di fenomeni di criminalità, peraltro differenti per entità e tipologia a secondo del contesto sociale e territoriale in cui si verificano. In realtà, come è noto, l'indulto doveva intervenire, e così è stato , sulla inaccettabile sovraffollamento delle carceri italiane, con un numero di detenuti vicino alle 64.000 presenze contro le 38.000 regolamentari.
Va sempre ricordato che il sovraffollamento carcerario è definito trattamento inumano e degradante dal Comitato europeo contro la tortura e stessa definizione si trova nelle regole penitenziarie europee minime stabilite dal Consiglio d'Europa. Del resto appartiene ormai alla comune conoscenza che le condizioni di vita all'interno degli istituti avevano raggiunto un livello così degradante da compromettere l'integrità psico-fisica non solo dei detenuti, ma anche di molti operatori penitenziari, e che la mancanza di spazi e il compromesso rapporto numerico tra ristretti e personale del trattamento penitenziario aveva in concreto impedito alla pena di svolgere quella funzione rieducativa che la Costituzione continua ad attribuire alla permanenza in carcere.
A ciò si aggiunge il fatto che la popolazione carceraria oggi presenta criticità sconosciute in altri tempi, o non nella misura attualmente data, per la presenza di cittadini stranieri ( in alcune carceri rappresentano oltre la metà della popolazione detenuta),di tossicodipendenti , nella percentuale di almeno un terzo, e in una fascia crescente di " semplici " disagiati sociali, persone con problemi di abbandono, disagio psichico, ecc.
Va riconosciuto che per effetto del provvedimento di indulto il clima che si respira è oggettivamente diverso, in ragione della storica circostanza che il numero attuale dei detenuti è inferiore alla capienza regolamentare degli istituti di pena italiani.
E' evidente che tutto questo avrà una ricaduta positiva sulla funzione rieducativa della pena e sulle condizioni di vita delle persone recluse solo se la riduzione del sovraffollamento carcerario non sarà momentanea, ma riuscirà a tenere nel tempo. Questo sarà possibile solo se una serie di riforme in gestazione, alcune da decenni, avranno nei prossimi mesi effettiva attuazione, e precisamente le riforme del codice penale e del codice di procedura penale, le cui commissioni sono state da poco state insediate dal Ministro di giustizia, la riforma dell'ordinamento penitenziario e quella relativa alla riforma del testo unico in materia di immigrazione, che dovrebbe subire significative modifiche alla conclusione dei lavori della commissione ministeriale che sta, tra l'altro, visitando i CPT presenti sul territorio.
Si segnala a questo proposito che è sempre alta la percentuale di stranieri che viene arrestato per non avere ottemperato all'ordine di allontanamento disposto dal Questore, reato punito gravemente dal testo unico e che prescinde da condotte tipicamente offensive e di cui si auspica la tempestiva abrogazione.
Non risultano invece nell'immediato futuro in esame modifiche alla restrittiva disciplina della recidiva della legge 251/2005 e della legge n. 46/ 2006 in materia di stupefacenti, che incidono sui processi di carcerizzazione (o che ritardano l'accesso alle misure alternative come per la prima).
Questioni tutte che il Parlamento è chiamato ad affrontare con urgenza, cogliendo l'opportunità rappresentata dagli effetti positivi della ridotta presenza di detenuti, e prima che le stesse leggi su cui deve intervenire non abbiano portato o riportato in carcere migliaia di persone, rendendo molto difficili futuri interventi normativi.
Ed anzi, la commissione di riforma del codice penale è necessario che si occupi anche della possibilità, in alcuni casi, di consentire l'applicazione di misure alternative già in sentenza, e di ridurre per molti reati i massimi di pena, consentendo poi in fase esecutiva un reale accesso alle misure alternative alla detenzione.
Questa è l'unica strada praticabile, se si crede che la detenzione carceraria debba rappresentare l'extrema ratio della sanzione penale, e che la pena debba essere in concreto rivalutata in ragione di una serie di mutamenti e di opportunità che si realizzano in corso di esecuzione. La pena certa imprigiona la persona al momento del commissi delicti, o del giudizio di merito, quella flessibile, come scrive Alessandro Margara nel progetto di riforma dell'ordinamento penitenziario presentato nel novembre 2006, consente di verificare in concreto il permanere dell'interesse punitivo dello Stato nei confronti di un condannato che a distanza di anni può essere socialmente recuperabile.
La certezza della pena, principio liberale contro l'arbitrio del sovrano, rischia oggi, nel senso comune in cui lo declina l'opinione pubblica e prima ancora il mondo dell'informazione, di trasformarsi in principio della immutabilità della sanzione, della separatezza dei colpevoli dal consesso civile, a cui si sottrae ogni responsabilità sulle condizioni sociali che hanno determinato il crimine e sulla necessità di una presa in carico di chi uscirà dal luogo di detenzione.
Del resto, la filosofia della nuova certezza della pena (che nulla ha a che fare con la legittima richiesta di trattamenti sanzionatori al momento della condanna commisurati alla gravità del reato commesso), è alla base della legge ex- Cirielli sulla recidiva, molto simile al modello americano, per effetto della quale il reiterare delle condotte criminose, a prescindere dal titolo del reato e dalla reale gravità delle condotte, impedisce o rende difficile accedere alle misure alternative alla detenzione.
Ma la prevenzione dal crimine, le condizioni di sicurezza sociale si assicurano attraverso le modifiche legislative inderogabili di cui si è già detto, e con la ricerca di un effettivo reinserimento delle persone che comunque saranno destinate al carcere, attraverso la formazione, il lavoro, la cura adeguata, con l'impiego di risorse, assicurando la territorialità della pena, e percorrendo la strada già intrapresa di una presa in carico da parte dei territori, nell'interesse dei singoli ma anche di una collettività capace di comprendere che il pericolo di recidiva non si sconfigge con la pena certa, ma con quella capace di reinserire.